Estorsioni, mafia dei pascoli e del bosco. Gli affari di Cosa nostra sui Nebrodi

di Salvo Lapietra
12/01/2015

La forma è quella dell’interrogazione, la sostanza è un vero e proprio atto d’accusa con un’analisi dettagliata sulla presenza della mafia sui Nebrodi e sugli interessi in gioco per le famiglie mafiose dell’area: sia sul fronte di Tortorici e dunque in provincia di Messiona, sia sul fronte di Enna e in particolare nell’area di Troina. A firmare il documento il senatore Giuseppe Lumia, componente della commissione parlamentare Antimafia che si rivolge al ministro dell’Interno Angelino Alfano per chiedere quali iniziative intenda prendere per tutelare l’incolumità di Giuseppe Antoci, presidente del Parco dei Nebrodi e recentemente bersaglio di intimidazioni insieme al presidente della regione Rosario Crocetta; del commissario dell’Ente di sviluppo agricolo Francesco Calanna e del sindaco di Troina Fabio Venezia, anche lui finito nel mirino delle organizzazioni criminali e vittima recentemente di una pesante intimidazione mafiosa. Ala base di tutto, secondo Lumia, gli interessi sui terreni da utilizzare per il pascolo e per la vasta area boschiva: nei mesi scorsi su delega del ministro dell’Interno, il prefetto di Enna ha disposto un accesso ispettivo presso l’azienda silvo pastorale di Troina al fine di compiere accertamenti ed approfondimenti mirati allo scopo di verificare se emergano forme di infiltrazione o di condizionamento di tipo mafioso.

Lumia insiste nel sostenere come il controllo mafioso nell’area dei Nebrodi sia capillare: «Le tecniche estorsive utilizzate dalle famiglie mafiose dei Nebrodi, la cui attività si spinge anche nella zona nord della provincia di Enna, sono rimaste quelle di un tempo – si legge nell’interrogazione -: la «messa a posto» perpetrata ai danni di imprenditori e commercianti tramite la corresponsione di ingenti somme di denaro; l’imposizione di forniture e di manodopera; la cosiddetta estorsione con il «cavallo di ritorno», realizzata attraverso il furto di automezzi, macchine agricole, mezzi di lavoro operanti in cantieri, seguito dalla richiesta di denaro per la successiva restituzione del maltolto».

Ma chi è che comanda nell’area del tortoriciano? «Esponenti di spicco del clan mafioso dei tortoriciani – scrive Lumia – sono, oltre ai Galati-Giordano, anche i Bontempo Scavo ed i fratelli Calogero e Vincenzino Mignacca, latitanti dal 2008 e catturati nel novembre 2013 grazie ad un blitz dei carabinieri del Gis (gruppo di intervento speciale), durante il quale il secondo, pur di non consegnarsi allo Stato, si è suicidato. Dalla relazione annuale sulle attività svolte (nel periodo 1° luglio 2012-30 giugno 2013) dal procuratore nazionale antimafia e dalla Direzione nazionale antimafia si apprende «nel corso delle indagini effettuate per la ricerca dei latitanti Mignacca, la P.G. operante apprendeva dell’esistenza di un accordo in essere tra le famiglie mafiose dei Bontempo Scavo e dei Batanesi, volto al controllo del territorio nebroideo. Dalle informazioni acquisite – scrive ancora il senatore – emergeva che, poiché la famiglia Bontempo Scavo era stata fortemente limitata dagli arresti avvenuti negli anni precedenti e decapitata dei suoi capi storici, al fine di non perdere il controllo del territorio in favore di altre famiglie (in particolare quelle barcellonesi) e per mantenere gli equilibri, aveva concordato che la gestione del territorio fosse attuata dai componenti della famiglia dei Batanesi in cambio del 50 per cento dei proventi delle attività illecite».

Non meno pericolosa è la mafia di Enna che «non va sottovalutata – dice Lumia – perché è sempre stata un’organizzazione potente e legata all’assetto di vertice del momento, di tale affidabilità che è stata scelta come sede dove svolgere i summit di mafia che hanno dato vita alla stagione delle stragi del 1992 (stragi di Capaci e di via d’Amelio che hanno avviato la «stagione stragista»). Per questo, Cosa nostra di Enna è stata guidata da boss in grado di interloquire con le istituzioni in una logica collusiva, come Raffaele Bevilacqua, capo provinciale e contemporaneamente politico, Salvatore Gesualdo e Giancarlo Amaradio, di recente destinatari di ulteriori ordinanze di custodia cautelare. Occorre, altresì, dare atto che l’operatività di Cosa nostra nella provincia di Enna è stata da sempre condizionata dall’incisiva influenza delle organizzazioni mafiose radicate nei più importanti centri limitrofi (nel caso di specie Cosa nostra catanese) che hanno da sempre considerato di interesse il territorio ennese». A questa mafia, forte e radicata, avrebbero dato fastidio con le loro scelte amministrative sia il sindaco di Troina che il presidente del Parco dei Nebrodi: «Al Comune di Troina (Enna)- scrive Lumia – appartiene la gestione di una grossa area boschiva sui Nebrodi, circa 4.200 ettari, che sembra essere oggetto di interesse da parte di alcune famiglie mafiose tradizionalmente legate alla mafia dei Nebrodi (Tortorici, Cesarò, San Fratello, Maniace, Montalbano Elicona, Castell’Umberto); nel tempo non sono mancate pressioni e tentativi di condizionamento da parte di tali famiglie per la gestione di questo immenso patrimonio boschivo, da cui si ricavano ingenti risorse finanziarie attraverso i contributi dell’Agenzia per le erogazioni in agricoltura; da quanto esposto si evince che i maggiori interessi economici di queste famiglie mafiose sono rappresentati dalla gestione diretta dei pascoli boschivi sui Nebrodi di proprietà del Comune di Troina e dell’Ente parco dei Nebrodi. Che sarebbe esercitata anche attraverso il controllo del territorio e la perpetrazione di una serie di reati, per lo più estorsioni, furti e danneggiamenti, volti ad affermare la supremazia criminale e a scoraggiare altri eventuali contraenti nella gestione di questi terreni». Di particolare rilievo e preoccupante è la situazione a Troina: «Con l’elezione della nuova amministrazione comunale (giugno 2013), guidata dal sindaco Fabio Venezia – dice Lumia – , si è aperta una nuova stagione di legalità e sono venuti meno certi «appoggi» che garantivano, attraverso un’attenta ed oculata copertura, il perseguimento dei lucrosi interessi economici, uno dei primi atti del nuovo sindaco è stato la rimozione immediata del vecchio consiglio d’amministrazione dell’azienda silvo pastorale, il licenziamento del direttore tecnico, destinatario di un decreto di rinvio a giudizio per falso in atto pubblico allo scopo di ricoprire quell’incarico; il tentativo, da parte del sindaco Venezia, di far luce su questi aspetti, di avviare la procedura di evidenza pubblica nella stipula dei contratti e la volontà di aumentare il canone di affitto per i contratti in scadenza ha messo in fibrillazione il sodalizio criminale che ha mostrato una certa insofferenza per questo nuovo corso, manifestando «avvertimenti» e chiari segnali intimidatori nei confronti dell’azienda ed in particolare verso il sindaco».

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