E se La Pêche au Printemps à Asnières di Van Gogh, a Chicago, fosse un falso?

di Redazione
31/07/2017

Pubblichiamo un articolo di Luciano Armeli su una storia in quietante di falsi internazionali d’arte e in particolare su un famosissimo Van Gogh: La Pêche au Printemps à Asnières di Vincent Van Gogh, 1887, conservata all’Art Institute di Chicago.
di Luciano Armeli Iapichino

Questa è una storia di coscienza anzitutto! La coscienza di chi è stato depositario di una verità per più di un quarto di secolo e vuole, prima della fine della sua notevole parabola esistenziale, alleggerirsi di un peso che da molto tempo lo disturba nelle lunghe notti insonni “sbarrate” sempre sullo stesso leitmotiv; la coscienza decisa di “un’anima” a servizio dell’arte che possiede, oltre ad un innaturale genio creativo, quell’amore per la verità che solo la bellezza della pittura può disvelare. Questa è una storia di tarli, di tormenti, di certa posta in gioco e forse anche di criminalità organizzata. Una storia di documenti che potrebbero, il condizionale è d’obbligo, cambiare le sorti di una tela e non di una qualunque: La Pêche au Printemps à Asnières di Vincent Van Gogh, 1887, conservata all’Art Institute di Chicago.
Una premessa è doverosa: sull’autenticità e, dunque, sulla falsità di molte opere dell’artista olandese, sin dalla “notte dei tempi”, sono state avanzate argomentazioni attendibili e non, corredate spesso da argomentazioni o “prove” tecniche a supporto dell’una o dell’altra teoria. Le colonne del Corriere della sera di mercoledì 4 giugno 1997 proponevano, ad esempio, un didascalico articolo dal titolo Ma questi Van Gogh sono falsi. Sotto processo i “Girasoli” venduti a Tokio e 16 quadri esposti ad Amsterdam. Il pezzo faceva riferimento a una sorta d’invasione di falsi vangoghiani e in particolare a un dossier di uno storico dell’arte inglese, Martin Bailey, studioso delle opere di Van Gogh, che in una sua inchiesta-bomba metteva in discussione ben 45 capolavori del maestro, molti dei quali ammirati nei più prestigiosi musei di mezzo mondo. Sotto accusa sarebbero stati “i colori”, i “tratti”, “le provenienze”, sulla base di una corroborante tesi “condivisa anche da altri esperti” secondo cui il maestro “non avrebbe avuto tempo di dipingere tutto quello che gli è stato attribuito”.
A ciò si aggiunge, secondo Bailey, anche l’indiscutibile verità che tra gli esperti di Van Gogh è sempre stata guerra aperta.
Antonio de Robertis, tra i più noti cultori del genio olandese, dal canto suo, ha posto seri interrogativi sull’opera omnia di Van Gogh, sulle centinaia di opere citate “dall’ufficialissimo Catalogo Hulsker”, su potenziali falsi che possono essere osservati un po’ ovunque nei circuiti ufficiali.
Senza cadere in azzardi pericolosi e con le dovute cautele torniamo al La Pêche au Printemps à Asnières. L’anima “irrequieta” che ci mostra seri dubbi sulla tela citata è uno stimato pittore fiorentino avanti con l’età, siciliano d’adozione, le cui opere hanno varcato in passato l’altra sponda dell’oceano, mietendo fortuna e successo di critica, Giovanni Spinicchia, che fornisce una serie di documenti che, in effetti e “a prima vista”, innescano seri interrogativi sul capolavoro del maestro esposto a Chicago. La vicenda raccontata da Spinicchia scrupolosamente dettagliata (di cui vengono riferiti i nomi dei protagonisti) risale agli anni 1944 – 45, periodo di fermenti bellici in cui un noto imprenditore di Milano viene in possesso di un quadro attraverso una proposta di acquisto da parte di un soggetto olandese; lo stesso è rivenduto successivamente al proprietario di un noto Hotel della città che, a sua volta, liquida attività e patrimoni, quadro compreso, ad un altro esercente milanese ben conosciuto. Si continua con una serie di vicissitudini legate a questioni finanziarie.
Ma questa è un’altra storia.
Il quadro che rappresenta Pescatore e barche sulla Senna, 1887, Parigi, porta la firma di Van Gogh. C’è un particolare non di poco conto: lo stesso quadro è contestualmente esposto a Chicago. I proprietari dell’opera, a questo punto, affidano allo Spinicchia la verifica dell’autenticità della tela da eseguirsi in Firenze presso uno specialista che assicuri la serietà professionale oltre la garanzia di un’adeguata custodia. E adesso si parla di prove tecniche.
E sì, lo specialista che viene “scomodato” per eseguire sul quadro – corre l’anno 1987 – quella che tecnicamente si chiama expertise risponde al nome del Prof. Luigi Arena. Non uno qualunque ma un “mostro sacro” che da un quarto di secolo collabora con quattro università italiane e, con sofisticate strumentazioni, conduce, nel suo laboratorio affacciato su Boboli, ricerche specifiche e scientifiche che rientrano nella cosiddetta diagnostica artistica su opere d’arte per conto delle maggiori Gallerie d’Arte italiane e straniere. Sua fu, tra le altre, un’attribuzione al Verrocchio di un bronzetto di Puttino alato, quale bozza realizzata con “la tecnica della cera persa del più noto Putto con delfino della fontana del cortile di Palazzo Vecchio”.
Arena, con riferimento al quadro in oggetto” scrive:
“Mi è stato sottoposto in qualità di perito d’arte, l’indagine scientifica di un’opera pittorica, raffigurante un paesaggio di uno scorcio della Senna di Parigi con pescatore in barca. Dopo un attento esame chimico-fisico eseguito sull’opera, questa è risultata autentica ed è mio convincimento che si può decisamente attribuire al maestro Vincent Van Gogh”. L’analista continua la sua relazione indicando tutti gli esami eseguiti: esame radiografico, raggi infrarossi, analisi stratigrafica. In particolare aggiunge: “La radiografia e la fluorescenza attestano che l’intera opera è databile a un centinaio di anni. Le microanalisi della patina risultano tipiche dell’epoca. Il supporto è costituito da tela al 50% di lino e cotone”. Si fa riferimento all’ossidazione degli oli essiccativi sulle fibre di tessuto e sul fatto che “lo studio chimico-fisico condotto sulla pittura e quindi sull’artista Vincent, è rivelatore della tecnica di quest’artista.”
La relazione di Arena è supportata da una serie di didascalici riferimenti riferita all’indagine scientifica su alcuni micro prelievi effettuati dalla tela in esame. E ancora: “Ho tratto convincimento che tale opera potrebbe essere di V. Van Gogh. L’andamento delle pennellate tali da escludere la mano di un copista; la robustezza e incisività della pennellata, tipiche della mano di Van Gogh, difficilmente imitabili proprio per la particolare tecnica usata dall’artista e frutto di uno stato d’animo tale da rendere “nervosa”, “scattante”, “veloce” la mano; il cogliere una certa “atmosfera” che solo l’autore può lasciare impressa sulla tela.”
L’esperto manifesta, invece, perplessità sulla firma. A tal proposito, tra l’altro, scrive: “Dopo un attento esame del dipinto è stata prelevata dalla superficie di esso, in prossimità della firma, un frammento della patina. Osservata al microscopio ottico, a luce bianca e a luce U.V. a onde corte e all’esame fisico-chimico, risultava di data recente. La patina prelevata altrove dalla superficie esistente e osservata nelle stesse condizioni di luce, emanava una ricca fluorescenza da cui si deduce che l’intera superficie è integra, mentre la patina data sulla firma e la stessa non sono autentiche, ma bensì dipinte e patinate recentemente”.
In una secondaria dichiarazione Arena, tuttavia, evidenzia quanto segue: “Premesso che all’epoca in cui visse van Gogh nessuno era interessato a falsificare le sue opere, che non avevano mercato e che l’unico acquirente era il fratello Theo, che svolgeva una certa attività commerciale grazie alle proprie conoscenze, posso concludere nel merito della perizia da me eseguita, pur non potendo dichiarare l’autenticità dell’autore in quanto manca un confronto radiografico fra le radiografie da me eseguite e quelle giacenti presso il Museo di Amsterdam, che il quadro è di Vincent Van Gogh soltanto dopo aver eseguito il sopradetto confronto”. Questi, in sintesi, i risultati di uno dei massimi esperti di diagnostica artistica sulla tela “milanese” raffigurante il Pescatore sulla Senna e potenzialmente da considerare originale.
L’Arena è consapevole che all’Art Istitute di Chicago è presente la stessa opera dal titolo Veduta parigina, ritenuta autentica del maestro olandese. Un’opera su cui gli esperti manifestano, però, alcune perplessità concernenti la firma, la data, la dedica, anche se il circuito ufficiale di provenienza della stessa potrebbe essere legittimo.
Secondo Spinicchia, l’opera, probabilmente, sarebbe stata rubata sul finire del secondo conflitto mondiale dal museo e, dopo essere approdata in Francia, sia giunta in Italia, a Milano. Qualcuno, a quel punto, in America avrebbe fatto sostituire l’originale con una copia, forse ancora esposta, per ovvie ragioni di convenienza. Teorie, di certo, ma l’expertise del Prof. Arena è stata condotta con scrupolo e coerenza scientifica ed è, altresì, documentabile. È un fatto innegabile, comunque, che dell’opera ci siano, oggi, due versioni. La copia “milanese”, di cui esiste una foto originale, si è, guarda caso, inabissata nel mercato occulto dell’arte e una pista ricostruibile, forse, la collocherebbe in Sicilia.
Arena, che ha anche accertato il taglio netto della tela, recisa perfettamente da tutti i lati secondo le modalità tipiche di un furto, nel prelievo effettuato “in basso a destra, e precisamente al bordo” ha rinvenuto “inclusi sulle fibre alcuni granuli di polline di alberi d’alto fusto probabilmente gli stessi che appaiono dipinti nel quadro in un mattino di primavera” motivo ulteriore, secondo l’analista, per una più probabile attribuzione dell’opera al maestro olandese. Una vicenda questa complicata quanto tormentata, come l’anima del genio di Auvers che smuove sempre nuove sfide e amletici interrogativi. Nell’anima di Giovanni Spinicchia, d’altro canto, sembra leggersi, con la rivelazione al mondo di questa storia, tutta la liberazione di un’angoscia compressa da qualche tempo nelle segrete di una coscienza geniale quanto naufragata. Non vi è dubbio che questa storia meriti un successivo approfondimento in nome di una verità che, qualunque essa sia, possa restituire dignità all’opera, all’artista e, soprattutto, all’esercito di estimatori che ammirano Van Gogh ogni giorno. Chicago compresa.
Adesso, agli addetti ai lavori, agli organi di competenza, le controdeduzioni.

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