Mafia dei pascoli, attentati per prendersi i terreni. Investigatori: “Sui Nebrodi incredibile clima di omertà”

di Turi Milano
18/02/2017

Catania – Un impermeabile muro di omertà, reticenze. Silenzi assordanti in un territorio completamente asservito agli interessi mafiosi. Un’area, i Nebrodi, in cui le persone perbene subiscono il condizionamento criminale. La mafia non ci sta a perdere il controllo del lucroso affare dei contributi pubblici provenienti dall’Unione europea e vuole tenere per sé i terreni, aggirare i protocolli di legalità, impedire che si faccia strada una mercato libero e onesto. E’ quello che si legge negli atti dell’operazione Nebrodi che ha portato in carcere nove persone.

L’omertà è  l’ostacolo maggiore che gli investigatori, i carabinieri del Ros di Catania ma soprattutto i militari della compagnia dei carabinieri di Santo Stefano di Camastra guidati dal maggiore Giuseppe D’Avena, hanno dovuto superare nel corso delle indagini che hanno portato all’operazione Nebrodi, prima con nove fermi e da oggi con nove ordini di custodia cautelare in carcere per altrettanti soggetti tra cui i presunti capomafia Salvatore Catania e Giovanni Pruiti.

Un contesto difficile, ostile, più portato annegare che ad ammettere nonostante le pressioni e la ferocia delle intimidazioni. Un’inchiesta che nasce il 18 maggio del 2016 subito dopo l’attentato al presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci: l’obietto era quello di ucciderlo per la sua attività sul fronte della prevenzione antimafia.

La conferenza stampa a Catania

Dopo nove mesi di indagini gli investigatori hanno deciso di intervenire subito con i fermi perché era emerso chiaramente dalle indagini che la mafia dei Nebrodi avrebbe avuto l’intenzione di ammazzare le proprie vittime, allevatori e contadini.  I quali però non hanno assolutamente collaborato con gli investigatori. “Sui Nebrodi c’è una cappa che pesa sulla libertà delle persone, che va spezzata –  ha affermato il procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro – Lo dimostra anche l’omertà delle vittime che subiscono le intimidazioni”. Il Procuratore ha “ringraziato per le indagini svolte con tempismo e grande professionalità dai carabinieri del Ros di Catania, del comando provinciale di Messina e della compagnia di Santo Stefano di Camastra”.

Due i filoni di indagine sviluppati: il primo partito a giugno dell’anno scorso si è sviluppato attorno alla figura di Salvatore Catania, ritenuto elemento di vertice del clan mafioso che opera nell’area territoriale compresa tra i comuni di Bronte, Maletto, Maniace e Cesarò e saldamente legato alla Cosa nostra catanese che fa capo ai Santapaola-Ercolano. Attraverso l’analisi di precdenti inchieste, l’ultima dei quali Kronos, i carabinieri hanno documentato l’attività di Salvatore C. Altro filone d’indagine ha riguardato un primo plateale e feroce atto intimidatorio ai danni di un allevatore di Cesarò. Grazie a una prima analisi della situazione patrimoniale della persona offesa gli investigatori si sono resi conto che alla base dell’atto intimidatorio vi era un’attività estensiva da parte degli esponenti di Cosa Nostra. La mafia aveva preso di mira l’allevatore e altri due soggetti. Perché? L’allevatore aveva formalizzato con gli altri due preliminari d’acquistoo di terreni, con una estensione di circa 120 ettari, ricadenti nel Parco dei Nebrodi, per i quali il prezzo finale d’acquisto era stato concordato in 440.000 euro. Terreno che avrebbe portato, secondo le stime degli investigatori, profitto per 50mila euro l’anno. Le indagini, nonostante un clima di omertà, hanno consentito di scoprire come le minacce e le intimidazioni siano maturate nell’ambito della criminalità organizzata e in particolare i protagonisti sarebbero stati Giovanni fruiti insieme a Carmelo Lupica Cristo, Carmelo Giacucco Triscari, Giuseppe Corsaro, Antonino Galati giordano, Luigi Galati Giordano e Salvo Germanà. Quest’ultimo si era attivamente adoperato con atti intimidatori e persino aggressioni fisiche per indurre gli acquirenti del terreno a desistere dall’acquisto nonostante fossero state formalizzate e perfezionate le trattative con il versamento di caparre dell’ordine di 200mila euro. Ion pratica, secondo questa ricostruzione, la mafia voleva per sé quel terreno per continuare beneficiare di contributi erogati dall’Agea, magari aggirando il protocollo voluto dal presidente del parco Giuseppe Antoci.

“L’operazione dei carabinieri ha svelato come la mafia dei Nebrodi stia tentando di aggirare i vincoli posti dal ‘Protocollo Antoci’ nell’erogazione dei contributi comunitari in agricoltura”. Lo ha affermato il comandante provinciale dei carabinieri di Messina, colonnello Iacopo Mannucci Benincasa, sull’inchiesta della Dda della Procura di Catania che ha portato all’arresto di nove indagati, a vario titolo, per associazione mafiosa e tentativo di estorsione. “Le indagini condotte dall’Arma – ha aggiunto l’ufficiale in conferenza stampa a Catania col procuratore etneo, Carmelo Zuccaro – hanno infatti permesso di fare luce su una serie di estorsioni di cui erano vittime alcuni imprenditori agricoli, costretti a cedere a esponenti del clan Santapaola ogni diritto su centinaia di ettari di terreno, per acquistare i quali avevano già versato oltre 250mila euro. I nove arresti – ha sottolineato il colonnello Mannucci Benincasa – hanno posto fine al clima di terrore, fatto di macabre intimidazioni e violente aggressioni, che ormai si respirava tra gli allevatori della zona”.

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