I Nebrodi sperimentano un modello vincente di lotta alla mafia: la sicurezza partecipata

di Redazione
04/03/2017

Nicosia – Contro la mafia si vince con un gioco di squadra in cui tutti sono attivi e protagonisti: forze dell’ordine, magistrati, istituzioni, cittadini, imprenditori. E sui Nebrodi questo in parte è avvenuto e sta avvenendo.  Può essere sintetizzato così il messaggio lanciato nel corso del convegno dedicato alla mafia sui Nebrodi che si è svolto nei giorni scorsi presso l’auditorium “Vincenzo Nisi” dell’Istituto Superiore “F.lli Testa” di Nicosia. L’evento, è stato organizzato da due giovani nicosiani: Michele Castrogiovanni e Salvatore Migliosini ed è il primo incontro del progetto “Prendiamo in mano il nostro futuro”; progetto che mira a promuovere l’impegno civile e sociale grazie alle testimonianze, di uomini e donne del nostro tempo, protagonisti dei vari settori che in modo diretto e utile forniscono ai cittadini informazioni su temi che interessano la collettività.
Protagonisti dell’incontro sono stati gli autori della continua e incessante lotta alla mafia dei Nebrodi: Giuseppe Antoci, presidente del Parco dei Nebrodi; Daniele Manganaro, vice questore aggiunto di Sant’Agata di Militello e Sebastiano Fabio Venezia, sindaco di Troina.
“Abbiamo scelto questa tematica – dice Salvatore Migliosini – perchè pensiamo che si debba parlare di mafia, dei Nebrodi, del territorio, occorre affrontare l’argomento. Persone come Antoci, Venezia e Manganaro non vanno lasciate da sole, occorre stargli vicino, e supportarli nel loro lavoro”.
“Sono persone da ammirare per il loro coraggio – sottolinea Michele Castrogiovanni – uomini che stanno svolgendo il loro dovere in pieno, rifiutano compromessi morali e sacrificando le loro vite, la loro libertà”.
Il primo ad intervenire è stato Fabio Venezia che in questi anni di mandato come sindaco, e prima ancora come consigliere, si è impegnato a riportare la legalità all’interno dell’azienda silvo pastorale del comune di Troina, che vanta un demanio di oltre 4.200 ettari.
Venezia ha subito voluto sottolineare che né lui né il presidente Antoci sono degli eroi “siamo uomini con le loro fragilità e paure, che si sono messi in testa idee precise: non lasciare solo alla magistratura e alle forze dell’ordine l’impegno a combattere le mafie, la criminalità, in questo territorio.”
Rispetto alla strada intrapresa dice “non è una battaglia di repressione fine a se stessa questa, è una battaglia per lo sviluppo del territorio. La battaglia vera sarà vinta nel momento in cui quei territori, in quei terreni, in quei boschi vedremo tanti giovani, come voi, che si impegneranno per valorizzarli, per curarli, per costruire all’interno di questa area un modello di sviluppo fondato sulla valorizzazione di questi beni; e dove tanti giovani non saranno più costretti all’interno di questo territorio a prendere la valigia e ad andarsene.” Aggiunge ancora “è una grande battaglia, è una battaglia complicata, che ha imposto un prezzo da pagare; ci auguriamo che questo nostro modello possa costituire un esempio positivo di movimento antimafia che coinvolge: le istituzioni, la magistratura, il territorio, i giovani come voi; all’insegna di tre parole chiave: intelligenze, impegno e sobrietà. Se uniamo le forze all’insegna di queste tre parole chiave riusciremo davvero a cambiare la situazione, è una battaglia collettiva, è una battaglia dei tanti giovani”.

A seguire è intervenuto Daniele Manganaro, il quale si è soffermato sul lavoro svolto da dirigente del commissariato di Nicosia, prima, e di Sant’Agata di Militello, dopo. Ha raccontato gli antefatti che hanno portato alle operazioni Discovery 1 e 2. : “E’ stato un lavoro di squadra – ha spiegato – non solo della magistratura e delle forze dell’ordine, un lavoro delle istituzioni, della giunta Venezia, degli imprenditori onesti. Per 22 mesi ogni giovedì notte ci incontravamo in una casa di campagna affinché, loro, potessero illustrarmi quello che era successo: i furti di bestiame, di mezzi agricoli. L’azione fatta ha portato ad un abbattimento del 100% di tutti quei reati. Le operazioni Discovery 1 e 2 sono state importanti: gli arresti per mafia sono stati 22”. Manganaro ha ricordato l’incontro avvenuto a Sant’Agata di Militello, prima del suo insediamento nella città come dirigente, con Venezia e Antoci, l’intesa di intenti nata sin da subito tra loro, nell’ottica di una sicurezza partecipata: “Quando siamo andati a prenderci un caffè – racconta Manganaro – , subito abbiamo iniziato a parlare di sicurezza partecipata. La sicurezza partecipata è la sicurezza composta da tutti i membri delle istituzioni, forze dell’ordine, magistratura, figure istituzionali e cittadini. Sicurezza partecipata è la mossa vincente. Magistratura, polizia di stato, istituzioni hanno portato ad un risultato brillante a Troina, perché lo hanno voluto i cittadini, sono stati loro a stimolarci, occhi e orecchie nostre sul territorio.”
Racconta anche, come, nel 2014 al tavolo tecnico convocato dal prefetto a Cesarò dopo l’incendio doloso ai danni dell’auto del sindaco del comune nebroideo, lui e il presidente Antoci parlarono di mafia, di legami mafiosi forti in quel territorio e fecero i nomi delle famiglie mafiose, scoperchiando il vaso di pandora.
“Il primo atto scatenante fu l’incendio della macchina del sindaco di Cesarò: era il 2014 e il prefetto ha convocato un tavolo tecnico a Cesarò dove sono intervenuti i sindaci del territorio, i rappresentanti provinciali delle forze dell’ordine, quindi il questore, comandante dell’arma, comandante della finanza, gli ufficiali competenti per il territorio, io come dirigente del commissariato e il presidente Antoci. E in quell’occasione il tono della conversazione era questo: non ci sono denunce quindi non ci sono reati è un atto estemporaneo interverremo, non ci sono segnalazioni quindi non c’è mafia. A un certo punto sono intervenuto io e ho fatto i nomi delle famiglie mafiose presenti sul territorio: questo è un atto mafioso, ho detto, e queste sono le 4 famiglie che comandano; dopo di me è intervenuto il presidente Antoci parlando di legami mafiosi forti in quel territorio nebroideo. Quando parlo di mafia parlo del territorio nebroideo, quindi parliamo di Troina, Cesarò, Tortorici, che sono le zone dove io opero”.
Da lì comincia “un’attività forte nei confronti di queste persone, cominciamo a sequestrare allevamenti, terreni, casolari, cominciamo a mettergli le mani in tasca e da li iniziano gli atti intimidatori. Lettere di minaccia al presidente del Parco; mandano proiettili al presidente del Parco, a me, a delle guardie venatorie che con noi collaboravano, fino ad arrivare all’atto di maggio. Quali sono state le risposte, gli arresti; abbiamo fatto un’operazione a dicembre: “Gamma Interferon”, questa operazione ha portato a 33 misure cautelari e 17 indagati. Ha scoperto un sistema, ha svelato quello che stava dietro il business dei terreni; cioè oltre gli allevatori, ovviamente non per bene ma con pregiudizi per mafia, avevamo tutta una serie di colletti bianchi che agevolavano il sistema. Emerge il problema tanto dibattuto, il problema della corruzione, perché coloro che supportano questo sistema non sono solo gli appartenenti ai clan, ma sono colletti bianchi, quali veterinari, esponenti delle istituzioni, che abbiamo arrestato nell’attività di dicembre.”
Manganaro conclude il suo intervento con “il messaggio che vi voglio lanciare è uno: questi non sono territori tranquilli, sono territori storicamente controllati da associazioni mafiose e nello stesso modo in cui si evolvono i tempi la mafia si evolve, allo stesso modo se prima si dedicavano alle estorsioni e al traffico di sostante stupefacenti oggi rischiano zero dedicandosi alla truffa, perché la truffa è un reato che si prescrive. Vi faccio un esempio: io costituisco un’azienda agricola, faccio un allevamento di 1.000 capi di bestiame, prendo 1.000 ettari, ogni anno vado a prendere circa 800-900 mila euro di finanziamenti. Chiaramente per costituire un fascicolo aziendale di questo tipo mi serve: un veterinario che mi certifica, la qualifica di ufficialmente indenne dell’azienda, la presenza dei capi, la certificazione antimafia, tutto questo mi porta a presentare una pratica all’Agea che eroga i soldi direttamente sul conto corrente. Con rischio pari a zero.”
In ultimo Giuseppe Antoci ha parlato dell’azione di legalità e sviluppo mossa dal suo operato: “Questo territorio ha dato il via ad un’azione di legalità e sviluppo che parte dai Nebrodi, che invade la Sicilia – ha detto -. Si pensava che lo Stato non arrivasse a questo, noi abbiamo voluto mettere normalità in questo senza fare nulla di che, abbiamo fatto solamente il nostro dovere, come ognuno deve fare. L’amministratore si fa con rettitudine, onesta e schiena dritta. Parlate di normalità, del noi allargato che vuole cambiare questa terra, come si vuole cambiare questo territorio, si grazie all’esempio di qualcuno, ma non deve essere solo un esempio.”
Il protocollo Antoci non è solo una realtà siciliana, è stato esteso anche alla regione Calabria per la vendita dei terreni e presto diverrà legge con la sua estensione all’intero territorio nazionale. “Il protocollo è stato fatto, firmato da tutti i sindaci della provincia di Messina, dal sindaco Venezia, in seguito è stato allargato a tutti gli enti regionali e in ultimo tutti i prefetti della Sicilia hanno firmato il protocollo, a Palermo in prefettura, e diventa per la Sicilia è divenuto norma. Qualcuno voleva bloccarlo facendo ricorso al Tar, chiedendo la sospensiva dicendo è un atto fattizio al Tar vinciamo noi; il Tar di Catania è entrato nel merito e ha parlato di infiltrazioni mafiose e di condizionamenti delle aziende. Duro colpo mortale.”
Aggiungendo “noi dobbiamo fare squadra le istituzioni il mondo della scuola le famiglie le associazioni, occasioni come questa di oggi sono semi, ma se noi no siamo bravi ad innaffiarli con un’acqua pulita, se non siamo in grado di trasferire concetti chiari che non passano dalla testa ma dal cuore questa è la lotta alla mafia, questa è la lotta all’illegalità: il noi. Perché siamo più di loro. Nei territori si vede fare sviluppo, ma non ci può essere sviluppo senza legalità. In questo concetto noi, abbiamo lo stesso medesimo ruolo, abbiamo la stessa medesima importanza, perché quando le squadre sono forti vincono sempre, la squadra non siamo solo noi, siamo noi, voi, tutti coloro ai quali racconterete di questo concetto di normalità, di questa Sicilia che mette dritta la schiena e con forza e coraggio reagisce, dimostrando che è la terra dello sviluppo e dell’esempio.”
Il presidente ha, anche, ricordato la notte dell’attentato del maggio 2016 e l’intervento delle forze di polizia, del vice questore Manganaro, che gli hanno salvato la vita, “quella notte ha fatto capire che non è un tema solo del territorio dei Nebrodi, noi abbiamo aperto un varco nazionale. Noi gli abbiamo preso il gioco preferito e gliel’abbiamo rotto, su questa strada continueremo e finalmente la Sicilia può diventare un esempio nazionale, presto il protocollo diventerà una norma dello Stato.”

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