Aree interne, la carenza di servizi accelera lo spopolamento

Le aree interne hanno sofferto di un progressivo spopolamento negli ultimi decenni. Parliamo dei territori più distanti dalle città, dove le opportunità di lavoro sono meno frequenti e anche i servizi in molti casi scarseggiano.

Spesso si trovano in contesti montani o isolani che rendono più difficile organizzare una rete di infrastrutture, collegamenti e servizi. Compresi quelli sociali, educativi, culturali, scolastici.

La conseguenza è che ampie aree del paese risultano meno vivibili per le famiglie, specialmente se hanno figli a carico. Da ciò deriva il progressivo spopolamento che ha caratterizzato i comuni periferici, fin dal dopoguerra.

Dal 1951 a oggi, la popolazione nei comuni polo – baricentrici in termini di servizi – è aumentata del 30,6%: da 15,8 a 20,6 milioni di abitanti. Nei comuni cintura, hinterland delle città maggiori, l’aumento è stato del 48,9% (da 16 a quasi 24 milioni). In quelli periferici e ultraperiferici si è registrato un crollo negli ultimi 70 anni, rispettivamente del 17,7 e del 26,4%. Ovvero da 6,7 milioni di abitanti censiti agli inizi degli anni ’50 a 5,4 settant’anni dopo.

Tale tendenza è proseguita anche negli ultimi anniDal 2011 a oggi la popolazione in Italia è rimasta stabile sui 59 milioni e mezzo di residenti (+0,35%). I poli sono aumentati del 2,5%, gli hinterland sono rimasti stabili (+0,3%), mentre i comuni interni hanno visto un calo in proporzione alla loro distanza dai servizi.

In quelli intermedi, dove si impiegano tra 27 e 40 minuti per raggiungere il polo più vicino, il calo è stato dell’1,9% rispetto agli abitanti censiti nel 2011. Quelli periferici, dove servono tra 40 e 67 minuti, hanno visto la popolazione ridursi del 3,8%Nei comuni ultraperiferici i residenti sono il 4,5% in meno del 2011. Si tratta dei territori più remoti, situati ad almeno 67 minuti di distanza dai poli.

Un trend di progressivo spopolamento che, osservando i dati sulle previsioni di popolazione al 2030, è probabile sia destinato a continuare anche nei prossimi anni.

Il calo dei bambini nelle aree interne da oggi al 2030

Le province con più minori residenti in aree interne sono anche quelle destinate a spopolarsi maggiormente nei prossimi anni.

È quanto emerge se si incrociano i dati sulle previsioni demografiche di Istat al 2030 (formulati su uno scenario mediano) con quelli sull’incidenza di minori in comuni periferici e ultraperiferici.

In media in Italia l’8,6% dei bambini sotto i 2 anni vive in questi comuni interni, distanti oltre 40 minuti dai poli di servizi. E la percentuale cresce ulteriormente in 46 province su 107. Tutte e 46, tranne una (Trento), vedranno il numero di minori calare da qui al 2030. Per 36 di queste il decremento sarà superiore a quello registrato nel paese.

A livello nazionale, il numero di bambini nella fascia demografica più giovane (quella più bassa disponibile è compresa tra 0 e 4 anni) si prevede che cali del -8,32% in questo decennio. Passando da 2,26 milioni nel 2020 a 2,08 milioni nel 2030.

Nelle province con tanti bambini che vivono in aree interne tale spopolamento procederà a un ritmo molto più sostenuto. A Nuoro (prima per quota di residenti 0-2 anni in comuni periferici e ultraperiferici, 85% del totale nel 2020) i bambini nel 2030 potrebbero essere il 19,1% in meno di oggi. A Isernia (seconda, con il 66,4% di minori in aree periferiche) si prevede un calo del 16,7%. Enna (terza, 62,75%) potrebbe assistere a una diminuzione di bambini dell’11%.

Aree interne: territori con pochi servizi e rischio spopolamento

In tanti casi, cali particolarmente significativi colpiranno i territori che oggi hanno una minore disponibilità di servizi educativi, in particolare quelli rivolti all’infanzia.

Una serie di province – 17, tutte del mezzogiorno – attualmente si caratterizzano per un’offerta nelle strutture per la prima infanzia inferiore ai 15 posti ogni 100 bambini residenti con meno di 3 anni.

In tutti e 17 questi territori, i bambini fino a 4 anni nel 2030 saranno meno di oggi. Con un calo che in 15 casi su 17 supera la media nazionale, e in 6 sfonda quota 10%: Crotone (-10,74%), Palermo (-11,87%), Vibo Valentia (-13,79%), Catanzaro (-14,96%), Reggio Calabria (-16,23%) e Cosenza (-17,07%).

Ovviamente, il fenomeno dello spopolamento nei prossimi anni sarà generalizzato in quasi tutto il paese e quindi colpirà anche territori più attrezzati. Basti pensare alle 3 province che superano la quota di 45 posti ogni 100 bambini, Ravenna, Bologna e Ferrara, dove il calo di residenti 0-4 anni oscillerà tra l’8 e il 10%.

Inoltre il caso della Sardegna mostra come anche territori con ampie aree interne, pur in presenza di un livello di servizi in linea o superiore media nazionale, saranno fortemente colpiti dallo spopolamento. E del resto, si potrebbe anche dire che l’offerta dei servizi attuale è commisurata allo spopolamento in corso e previsto per il futuro.

Tuttavia, parlando di politiche pubbliche chiave per il futuro del paese, lo scopo dovrebbe essere proprio invertire la tendenza. Ovviamente nidi e altri servizi rivolti ai minori, come quelli scolastici, sono solo una parte di una strategia per fermare declino demografico.

Ma è anche dalla capacità di offrire servizi per le famiglie e i minori, su tutto il territorio nazionale, che passa sfida per interrompere il calo della natalità. Anche e soprattutto nelle aree più distanti dalle città.

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Pubblicato da
Salvo Lapietra