Il potere in diretta Facebook. Ma i fatti restano muti
C’è un potere che oggi non ha più bisogno di piazze, comizi o domande scomode. Gli basta un click, una diretta Facebook, qualche foto “dietro le quinte” e una manciata di frasi altisonanti. È la comunicazione disintermediata, il nuovo orizzonte della politica locale e nazionale: niente giornalisti, niente contraddittorio, solo l’autonarrazione del potere che si autoproclama virtuoso.
Sindaci e amministratori, piccoli e grandi, ne hanno fatto abitudine. Alcuni, un vizio. Nel migliore dei casi, illudono i cittadini di partecipare; nel peggiore, costruiscono un palcoscenico dove la realtà è piegata alle esigenze di chi governa. Sulla bacheca social la città diventa un rendering patinato: strade pulite, cantieri annunciati, fondi “in arrivo”, mentre buche, ritardi e disservizi restano invisibili.
La dinamica è chiara: annuncio roboante, qualche hashtag motivazionale, diretta in orari studiati per il massimo di visualizzazioni. E guai a chi prova a chiedere dettagli, bilanci, tempi e responsabilità. Il giornalista che non si limita a rilanciare la nota stampa viene bollato come “fazioso”, accusato di “non fare il bene della città”. La critica, che in democrazia è ossigeno, diventa fastidio.
È una mutazione profonda del rapporto fra informazione e potere. La mediazione giornalistica – quel filtro fatto di verifica, confronto di fonti, domande scomode – è considerata un ostacolo. Il nuovo banditore del potere è Facebook, che offre una piazza gratuita e un pubblico pronto a mettere like. Ma i fatti, quelli che cambiano la vita delle persone, restano muti.
Questa deriva ha due effetti. Il primo è il logoramento della fiducia pubblica: quando la narrazione virtuale si scontra con la realtà quotidiana – servizi che non funzionano, promesse inevase – la distanza tra cittadini e istituzioni diventa un cratere. Il secondo è la marginalizzazione del giornalismo, ridotto a rincorrere i post invece di incalzare i governanti.
Non è solo un problema di stile comunicativo. È un nodo democratico. Perché senza un’informazione libera, capace di contestare e verificare, la propaganda riempie ogni spazio, anestetizza il dissenso e consegna a chi governa il monopolio della verità. Servirebbe ricordarlo, oggi più che mai, ai sindaci e ai leader che confondono la diretta social con il buon governo: i like non tappano le buche, non riparano un ospedale, non creano lavoro. E il giornalismo, quello vero, continuerà a chiederlo.