A Nicosia Giuseppe Costanza racconta la strage di Capaci

di Redazione
21/06/2017

Presso l’aula dell’ex tribunale di Nicosia, nel pomeriggio di lunedì 19 giugno, si è svolto il secondo incontro di “Prendiamo in mano il nostro futuro” progetto con cui, i suoi ideatori, Michele Castrogiovanni e Salvatore Migliosini mirano a promuovere l’impegno civile e sociale grazie alle testimonianze, di uomini e donne del nostro tempo, protagonisti dei vari settori, che in modo diretto e utile forniscono ai cittadini informazioni su temi che interessano la collettività. L’ospite d’onore dell’evento è stato Giuseppe Costanza, uno dei sopravvissuti alla strage di Capaci. I due giovani nicosiani hanno scelto di invitare l’uomo che è stato per tanto tempo accanto al giudice Falcone e che è sopravvissuto a quel 23 maggio del 1992. La location scelta è stata l’aula delle udienze dell’ex tribunale di Nicosia, luogo simbolo della giustizia. Numerosi i giovani presenti.

“Provo grande emozione – dice Michele Castrogiovanni, – e al contempo grande felicità. Felicità, specialmente, per i tanti giovani che sono indubbiamente interessati alle vicende oscure che del nostro Stato. Felicità per il luogo in cui ci troviamo. Luogo che non è stato scelto a caso, l’aula del tribunale, questa scelta ha una ben precisa identità di ratio, qui per anni è stata amministrata la giustizia.”

“Oggi abbiamo la possibilità – prosegue Castrogiovanni, –  di parlare di un uomo che ha conosciuto da vicino la mafia, il fenomeno mafioso, ed ha conosciuto da vicino chi ha avuto il coraggio di combattere la mafia ed ha perso la vita per questo, per il bene della nostra terra, la Sicilia. Parlarne è una cosa fondamentale, è lo strumento migliore ed efficace per continuare l’opera di Falcone, Borsellino, Chinnici e tutti gli uomini che hanno perso la vita.”

Il sindaco Luigi Bonelli, nel suo intervento, si è complimentato ancora una volta con i due giovani “voglio ringraziare Michele e Salvatore per queste iniziative e per i temi che scelgono. Iniziative necessarie per far crescere la coscienza di un paese, che fanno interrogare con speranza e con la certezza che le prese di coscienza possano migliorare una città, un paese, il mondo.”

“Mi piace citare Bertolt Brecht – continua Bonelli –  che nell’opera  Vita di Galileo disse “sventurata la terra che ha bisogno d’eroi”. Noi in Sicilia purtroppo abbiamo avuto bisogno di eroi, e ne abbiamo bisogno anche ora, fortunatamente la nostra terra questi eroi li ha saputi pure produrre. Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e tantissimi altri, sono stati prodotti da questa terra. Purtroppo qua in Sicilia c’è tutto, oltre la mafia più feroce, c’è stata anche l’antimafia più severa, quella più bella, rappresentata dalla mano di Borsellino e Falcone,  Pio La Torre e tutti coloro che sono stati degli eroi. Costanza è il testimone di una tragedia che ha scosso la coscienza del mondo e lo ringrazio di essere qua.”

Il primo cittadino ha proseguito citando  Nino Di Matteo e il potere del popolo nella lotta alla mafia “per combattere certi fenomeni è necessario lo sviluppo, la cultura, ma anche una certa rappresentanza dello Stato. Per esserci lo Stato è necessario che i cittadini siano partecipi. Tutti dobbiamo sentirci soldati di questa terra. Questa deve essere una guerra di popolo, diceva Nino Di Matteo, tutti dobbiamo essere soldati contro la mafia, e forse questa guerra la vinciamo. Il popolo ha la capacità di essere impattante, deve partecipare attraverso le idee, il confronto, ma soprattutto, attraverso il voto. Votando persone serie, per bene. Un sindaco, che strizza l’occhio alla corruzione, e tutti gli altri rappresentati, che strizzano l’occhio alla mafia, vanno mandati via a calci in culo. L’impegno e la coscienza di un paese sono i giovani che rifiutano i compromessi.”

Salvatore Migliosini, altro organizzatore dell’evento, dice “provo emozione, o meglio ho provato una certa emozione appena ho incontrato due ore fa il signor Costanza, perché forse non tutti ci rendiamo conto chi abbiamo la possibilità conoscere. Abbiamo la possibilità di interloquire, fare delle domande, parlare con una persona che è stata vicina, ed ha accompagnato, anno dopo anno, per otto anni Giovanni Falcone, che tutti conosciamo come eroe. Il signor Costanza invece non è un eroe, o meglio non ama descriversi come un eroe, perché come dice lui stesso è un sopravvissuto. Lui di questo se ne fa una colpa e questo è gravissimo. Motivo per cui ha scritto anche un libro, Stato di abbandono, per raccontare la sua condizione. La grande assenza delle Autorità e delle Istituzione, anche qui stasera, penso che sia un fatto gravissimo. Il signor Costanza ha vissuto otto anni tremendi, naturalmente con qualche momento di gioia; ha avuto la possibilità, l’onore, di conoscere Giovanni Falcone da vicino, di accompagnarlo sempre, passo dopo passo. Ha avuto anche la sfortuna di trovarsi lì quel 23 maggio del 1992, dove la mafia, o qualche entità più potente della mafia non lo sappiamo e forse non lo sapremo mai, uccise Falcone.”

Giuseppe Costanza ha iniziato il suo racconto, ribadendo più volte l’oblio che gli toccò dopo la strage, “essere un sopravvissuto mi da la possibilità di raccontare una testimonianza. Io sono rimasto vivo il 23 maggio del 1992, lo dico ai ragazzi che forse nemmeno sapevano che esiste un sopravvissuto, anzi quattro sopravvissuti, di cui non si è parlato e non si parla mai.”

La sua testimonianza è stato un viaggio nella memoria e negli eventi più significativi della vita del giudice Falcone; ha raccontato del pool antimafia, dalla sua costituzione per volere di Rocco Chinnici alla mancata nomina di Falcone come giudice istruttore “nel 1983 è stato fatto saltate con un autobomba Rocco Chinnici, consigliere istruttore; colui che per primo ha capito e aveva creato un pool antimafia. Un gruppo di persone, magistrati ,che condividono le indagini, che di conseguenza diventano invulnerabili alla corruzione e agli attacchi fisici, perché il pool va avanti nelle indagini comunque. Il pool era una minaccia non solo per la mafia, ma anche per certi poteri forti che potevano collassare. Allora lo fanno saltare in aria.

Succede come consigliere istruttore Antonino Caponetto. Il pool è formato da Falcone, Borsellino, Guarnotta e Di Lello. Quando Caponetto va in pensione, si pensava che Falcone ne fosse il successore, e quindi presentò domanda al CSM. Ma il CSM ha preferito Antonino Meli valutando l’anzianità e non la professionalità. Il dottor Falcone era deluso e afflitto da questa decisione.”

Il racconto prosegue con il ricordo di quando divenne autista del giudice Falcone e le ingenti misure di sicurezza intorno al magistrato “nel 1984 presi servizio, dopo una settimana il dottor Falcone mi convocò nella sua stanza, mi chiese chi ero, cosa facevo, dove abito, ma lui già lo sapeva, aveva preso informazioni. Alla fine mi chiese: lei è disponibile, può guidare la mia macchina. Non mi ha detto lei da oggi sarà il mio autista, mi ha fatto la domanda e aspettava risposta. Io dissi: posso. Avevo la guerra in casa, con mia moglie e la mia famiglia che erano preoccupati, sapendo a cosa andavo in contro. Mi sono reso conto subito della pericolosità del mio lavoro, perché il dottor Falcone era ben vigilato; aveva un auto con tre uomini a bordo che ci precedeva, un’altra macchina con tre uomini che chiudeva il corteo. E quando ci si muovevamo fuori città c’era anche un elicottero che ci precedeva e sorvolava la zona e una macchina civetta che percorreva la strada prima di noi e ci dava il via.”

Costanza ha ripercorso, anche, il fallito attentato all’Addaura  e ha parlato del chiaro messaggio dietro quell’episodio “nel 1989 avviene il fallito attentato all’Addaura. Quella mattina unitamente alla scorta siamo scesi sulla scogliera a vigilare, così facevano tutti i giorni. Quella mattina abbiamo rinvenuto un borsone con una muta da sub poggiata sopra; uno di noi ha aperto la borsa e all’interno abbiamo rinvenuto due contenitori, uno di metallo chiuso con un lucchetto ed un altro collegato con dei fili elettrici. Si capì subito che era una bomba e si diede l’allarme. Avvisammo il magistrato, ma il magistrato era incredulo. Mi chiama e mi dice cos’ha visto nel borsone, confermo c’è una bomba dentro, ribadisce ma lei l’ha vista, si l’ho vista. Il magistrato viene messo in sicurezza. Io rimango su quella scogliera assieme all’artificiere che, è stato bravissimo, ha messo una mini carica sopra il lucchetto, riparandoci dietro uno scoglio lo faceva brillare. Non è andato distrutto nulla, ha aperto il lucchetto come se fosse stato aperto con le chiavi, all’interno c’erano 53 candelotti di esplosivo. A cosa servivano, si aspettava che il magistrato scendesse sulla scogliera. Volevano far saltare in aria il dottor Falcone. Poi fui chiamato a testimoniare a Caltanissetta e ho dichiarato le cose come sono andate; bene avevano dichiarato che nell’aprire il lucchetto era andato distrutto tutto. Non è vero, è sparito tutto. Attualmente c’è un procedimento in corso a Caltanissetta.”

Oltre al ricordo del giudice, del magistrato Giovanni Falcone, Giuseppe Costanza, ricorda il grande valore morale dell’uomo; infatti raccontando un episodio accaduto la settimana prima dell’attentato si emoziona ed emoziona la platea “la settimana prima dell’attentato il dottor Falcone scende a Palermo con il suo piccolo aereo Falcon10. Io ero dentro l’aeroporto, noi entriamo con le macchine sulla pista, quando è atterrato l’aereo mi ci sono affiancato, ma nel frattempo alla radio un comunicato: triplice omicidio a Bagheria. Appena entra in macchina gli comunico questa cosa e allora subito da disposizioni per andare la, ma subito dopo si ravvede e dice no. Questo è un modo per attirarci in un agguato e attraverso la radio si da comunicato che viene modificato il percorso.

Nel frattempo il procuratore capo Giammanco chiama e dice “Giovà mettiti su un’altra macchina facciamo andare avanti Costanza e se succede qualcosa tu non sei in quella macchina”. Bene Giovanni Falcone non ci ha pensato un minuto, ha risposto io a Costanza da solo non lo lascio. Si è messo in macchina lato passeggero e ci siamo avviati a Palermo, con molta attenzione. Questo era Giovanni Falcone. Per me le sue parole e azioni hanno un grande valore e significato.”

Il racconto continua con il ricordo di Giovanni Falcone che la settimana prima dell’attentato gli comunicò “io sarò il procuratore nazionale antimafia, per tanto ci organizzeremo andando a Roma.”

La testimonianza di quel 23 maggio del 1992 è stata intensa e commovente, ha ripercorso gli ultimi momenti di vita di Giovanni Falcone e Francesca Morvillo “abitualmente il dottor Falcone mi chiamava a casa, non mi chiamava al cellulare. Quella mattina mi chiamò alle 7, comunicandomi il suo arrivo alle ore 17.45 da Ciampino. Io avevo il compito di allertare la scorta, così ho fatto, unitamente ci siamo ritrovati a Punta Raisi. Atterrato l’aereo, io mi accosto all’aereo e lascio il motore acceso e le chiavi inserite. Scende in compagnia della moglie Francesca Morvillo. Lei subito si siede lato passeggero davanti, quindi lui onde evitare di mettersi dietro ed io alla guida, ha preferito guidare lui. Io mi siedo, centralmente, dietro; procediamo e mi chiede se la macchina era pronta. Lui precedentemente mi aveva dato l’incarico di preparargli una macchina, sua personale, da portarsi a Roma, perché lì si muoveva senza bisogno della scorta. Gli ho detto che era pronta. Prosegue dicendo io a casa non mi fermo perché ho un incontro con altri magistrati, quindi mi invita a consegnare la moglie a casa e mi dice che ci saremo rivisti l’indomani. Al che gli dico arrivati a casa mi da le mie chiavi per domani, ma lui era sovrappensiero. Stava pensando, elaborando, dell’incontro con i suoi colleghi. Era un incontro importante. Non c’era con la testa, toglie le chiavi dal quadro e io lo richiamo, gli dico che fa, così ci andiamo ad ammazzare. Lui girandosi verso la moglie le porge le chiavi e inserisce le sue. Noi avevamo un mazzo di chiavi ciascuno. Questo è l’ultimo atto che io ricordo di quella giornata, perché poi mi sono svegliato in ospedale.”

“Cos’è successo – continua parlando della dinamica dell’incidente, – la prima macchina con abbordo Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani, è stata presa in pieno dall’esplosione. Pensate che quella macchina era una macchina blindata, è stata sollevata in aria, ha sorvolato l’alta massicciata e si andò a schiantare su un terreno. Pensate la potenza dell’esplosione. Noi tutto sommato abbiamo avuto un incidente, andando a cozzare contro i detriti che si sollevavano, quindi ci sono stati due mezzi a velocità che si scontrano. La terza macchina di cui non se ne parla mai, ma ci sono altri tre sopravvissuti, che sono Angelo Corbo, Paolo Capuzza e Gaspare Cervello ha avuto danni minori. Io con l’impatto che c’è stato da dietro sono andato a finire davanti, cozzando contro lo specchietto retrovisore e urtando la testa per poi ritornare indietro. Mi hanno trovato svenuto nella parte posteriore. “

Riferendosi all’operato degli attentatori dice “hanno fatto un errore, perché avevano seguito l’andazzo del modo di guida nostro. Noi guidavamo tallonandoci e coprendo l’intera carreggiata. Avendo visto la prima macchina erano convinti che saremo saltati in aria tutti, le tre macchine, e così sarebbe stato se a guidare ero io; probabilmente saremo morti tutti sulla linea di fuoco e ci sarebbero stati altri quattro morti. Questo per farvi capire che quelli non miravano agli uomini di scorta, miravano al magistrato.”

Il significato dell’attentato è chiaro per Costanza “per me l’attentato di Capaci, fatto a Palermo, ha preso un significato: è stata la mafia. Ma di quale mafia stiamo parlando. La manovalanza.  Quelli che hanno eseguito i lavori, per me quella è manovalanza. Perché tecnicamente non potevano fare quell’attentato. Un manovale, un carnezziere, un allevatore di animali, quale capacità tecnica potevano avere da poter far saltare in aria un’autostrada, quindi ci sono altri responsabili ancora da individuare dopo 25 anni.

Dopo 25 anni non è stato più disposto il pool antimafia pur sapendo che aveva una sua potenza e capacità. Chi ha avuto paura della nomina di Falcone a procuratore nazionale antimafia.  Voleva riprendere le sue indagini e quel giorno, di cui vi parlavo, si doveva incontrare con i suoi colleghi per ricostituire il pool, quindi qualcuno ha avuto paura di tutto questo. Altro che mafia e manovalanza, è gente che opera politica e affari” 

Nel racconto del dopo attentato c’è il ricordo di Paolo Borsellino “dopo un po’ è venuto a trovarmi Paolo Borsellino, lui era una persona squisita, un magistrato è un uomo squisito. Mi voleva vedere e mi raccontò, mi disse, che stava procedendo con le stesse indagini, e lui sarebbe stato il successore di Falcone anche come carica istituzionale, avrebbe avuto l’incarico come procuratore nazionale antimafia. Il 19 luglio del 1992 lo hanno fatto saltare.”

A questo punto della sua testimonianza Giuseppe Costanza denuncia lo stato di abbandono, la delusione, la rabbia ed anche il timore di doversi difendere da accuse infamanti che lo hanno accompagnato in questi venticinque anni “dopo l’attentato venne a farmi visita il presidente della repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Io pensai che il mondo era mio, vedevo tanta gente interessata a me. Ma si è rivelato tutto un fuoco di paglia, le Istituzioni dopo quel momento non si sono viste, sono scomparse tutte.  Sono fortunato è vero, io sono vivo gli altri no. Qualcuno ha detto se Falcone era al tuo posto si sarebbe salvato la vita. Magari, avrei preferito morire perché avremo visto un’Italia migliore. Mi ritengo super fortunato di essere stato quel giorno in quella macchina, pensate un po’ se io quel giorno prendevo le ferie, o per un motivo qualsiasi non andavo in servizio, avrebbero trovato il capro espiatorio. Chi glielo diceva che non ero stato io. Io forse ancora oggi mi difenderei da una cosa così infamante perché sarei, sicuramente, stato accusato di coinvolgimento. Io sono una persona scomoda, perché dico come stanno le cose pubblicamente. Sono scampato alla morte e non ho paura di niente.”

“Per 23 anni non ho mai ricevuto l’invito dalla Fondazione Falcone – continua – , quindi sostengo che non sia stata una dimenticanza, un disguido della posta, ma una volontà. Perché ogni anno io ho sempre denunciato pubblicamente questo stato di abbandono. Le istituzione che si sono arrampicate su quel parco non si sono premurate a dire manca qualcuno. Io non l’ho accettato questo stato di abbandono, il 23 maggio 1994, mi sono anche incatenato davanti il tribunale di Palermo. C’è stata la stampa che ha divulgato questa notizia. Non lo dico con orgoglio perché per me è stata una mortificazione,  dover dimostrare chi sono io. Finalmente si accorgono della mia esistenza. Dopo le mie denunce pubbliche vengo contattato dal MIUR. Da quel momento in poi giro l’Italia, in lungo e in largo, porto nelle scuole la mia testimonianza. Rimango sbalordito perché c’è gente che non sapeva della mia esistenza, di Giuseppe Costanza. Si chiedono, perché è rimasto vivo. Da qualche anno sono stato invitato anche dalla Fondazione, credo sia una risposta silenziosa, qualcuno l’avrà imposto e mi hanno invitato.”

“Qualcuno mi ha anche proposto di fare politica, mai sia. Io preferisco continuare quest’attività di testimonianza. Non ho le capacità di fare politica, non voglio costruire una carriera politica come hanno fatto molti sul nome o sull’antimafia. In Italia quando succedono questi fatti, fateci caso, chi emerge non è chi ha rischiato la propria vita, non se ne parla mai. E non vogliono che se ne parli perché andrebbe ad oscurare un’immagine. Allora vediamo sul piedistallo personaggi che accanto a me in macchina non ci sono mai stati, e per otto anni io non ho mai accompagnato Giovanni Falcone da sua sorella Maria Falcone.”

“Un episodio che mi ha fatto rabbia – prosegue, – è accaduto un 23 maggio, ero a casa e vedevo la tv assieme a mio nipote, che oggi ha 17 anni, mi fa nonno ma a Capaci non c’eri anche tu. Eri a Capaci, come mai non sei sul palco. Io questa domanda l’ho posta al presidente della repubblica Sergio Mattarella, non mi ha risposto. Mi chiedo tu politico, tu che sali su quel palco qualsiasi carica istituzionale hai, non lo vedi che viene a mancare una platea di persone, soprattutto la parte dei denunzianti, che non sono su quel palco. Io come presidente della repubblica, come ministro, come presidente del senato, mi vergognerei a stare lì, se prima non vedo le persone che hanno rischiato la vita per tanti anni, per tutti. Secondo me è una carenza professionale. Attenzione io non parlo male delle Istituzioni in senso generale, perchè lo Stato siamo noi. Io ho lavorato per lo Stato, credo nello Stato e nella gente che ogni mattina si alza e svolge un lavoro a rischio, quelli sono uomini dello Stato.”

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