Operazione Nebrodi, coinvolti colletti bianchi – VIDEO

Dalla maxi operazione antimafia denominata “Nebrodi” emerge la truffa legata alla gestione dei terreni agricoli che ha permesso alla cosiddetta “mafia dei pascoli” d’incassare qualcosa come dieci milioni di euro, dal 2013 ad oggi.

Un business reso possibile grazie all’apporto compiacente di colletti bianchi, identificati dalle indagini: ex collaboratori dell’Agea, un notaio, e diversi responsabili dei centri di assistenza agricola. Tutti soggetti – riporta la Gazzetta del Sud – muniti del know how necessario per realizzare l’infiltrazione della criminalità mafiosa nei meccanismi di erogazione di spesa pubblica, e conoscitori dei limiti del sistema dei controlli. Il meccanismo accertato dall’inchiesta si fondava sulla “spartizione virtuale” del territorio, operata dai clan mafiosi, per realizzare centinaia di truffe, con rapporti anche con gruppi mafiosi delle altre province.

L’offensiva dello Stato, che nell’operazione ha visto impegnati oltre mille uomini tra carabinieri e finanzieri, è frutto di una indagine della Distrettuale antimafia di Messina, delineata in duemila pagine, coordinata dal procuratore capo Maurizio De Lucia. L’ordinanza di custodia cautelare siglata dal gip Salvatore Mastroeni nei confronti di 94 soggetti (48 in carcere e 46 agli arresti domiciliari) ha portato anche al sequestro di 151 imprese agricole, oltre a conti correnti, rapporti finanziari e vari cespiti. Gli indagati però sono 194 e tra loro non ci sono esponenti mafiosi del gruppo dei Batanesi e del clan Bontempo Scavo, ma anche colletti bianchi, tra cui un notaio, e funzionari pubblici che gestivano i contributi agricoli, oltre ad una serie infinita di intestatari fittizi dei terreni, che in realtà erano sempre “governati” dai mafiosi.

Contestati, a vario titolo, come tipologia di reati, l’associazione a delinquere di stampo mafioso, il concorso esterno all’associazione mafiosa, il danneggiamento seguito da incendio, l’uso di sigilli e strumenti contraffatti, la falsità materiale commessa da pubblico ufficiale in atto pubblico, la falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atto pubblico, il trasferimento fraudolento di valori, l’estorsione, la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche l’impiego di denaro, beni ed utilità di provenienza illecita.

L’indagine – riporta il pezzo a firma Nuccio Anselmo – è stata suddivisa nei mesi scorsi dai magistrati della Distrettuale antimafia di Messina in due tronconi principali. Quella gestita dai carabinieri del Ros ha consentito di ricostruire l’attuale assetto e la “gestione del territorio” dello storico clan dei Batanesi, diretto da Sebastiano Bontempo “u uappo”, Sebastiano Bontempo “u biondino”, Sebastiano Conti Mica, e Vincenzo Galati Giordano. Un gruppo mafioso nato nella zona di Tortorici ma che negli ultimi anni aveva allargato la sua rete di cointeressenze, anche nel traffico di droga, in larga parte della provincia di Messina.

L’altro filone d’indagine, quello gestito dalla Guardia di Finanza, si è concentrato invece su una costola del clan tortoriciano dei Bontempo Scavo, al cui vertice c’era Salvatore Aurelio Faranda, che dopo le sue vicissitudini giudiziarie nel corso del tempo era riuscito ad estendere il centro dei propri interessi fino al Calatino, con al centro la mafia di Caltagirone.

L’inchiesta oltre a dimostrare la “rinascita” dei due gruppi ha fatto emergere i loro rapporti stabili con cosa nostra palermitana, e con le famiglie catanesi e della provincia di Enna. E sono emersi altri profili allarmanti: basti pensare che uno dei membri più attivi della famiglia mafiosa batanese è stato interpellato da un funzionario della Regione Siciliana per “accomodare” furti e danneggiamenti di un trattore dell’amministrazione regionale, impiegato nell’esecuzione di lavori in una zona addirittura lontana di Tortorici.

Sono stati ricostruiti anche numerosi episodi estorsivi, finalizzati principalmente all’accaparramento di terreni, per percepire i contributi comunitari. E proprio l’interesse ad ottenere gli ingenti contributi comunitari concessi dall’Agenzia per le erogazioni in agricoltura, l’Agea, si è rivelato essere la principale attività per tutta l’organizzazione mafiosa. Il filone di proporzioni milionarie smantellato dalla creazione del “Protocollo Antoci”. Gli indagati hanno esibito dal 2012 ad oggi certificati di titolarità relativi ai membri dell’associazione o a “prestanomi”, di particelle di terreni che in realtà erano riconducibili a persone o soggetti diversi da chi richiedeva il contributo europeo.

Esaminando le istanze false è emersa una “suddivisione pianificata” delle aree di influenza tra i gruppi mafiosi, finalizzata a scongiurare la duplicazione o la moltiplicazione di istanze diverse per le medesime particelle. E questo specifico aspetto investigativo è stato confermato attraverso intercettazioni ed acquisizioni documentali, in diversi centri di assistenza agricola, dei fascicoli aziendali delle singole ditte attraverso le quali venivano realizzate le truffe, o con perquisizioni eseguite nelle abitazioni dei principali indagati e in alcuni centri di assistenza agricola.

I mafiosi concordavano tutto: la predisposizione di falsa documentazione che attestava la titolarità di terreni da inserire nelle domande di contribuzione, anche mediante l’utilizzo di timbri falsi, la cessazione delle ditte già utilizzate mettendole in liquidazione, il trasferimento dei titoli autorizzativi da una società ad altre, lo spostamento delle particelle dei terreni da un’azienda all’altra ma sempre gestita dai mafiosi, la revoca dei mandati riferiti a precedenti centri di assistenza agricola a favore di altri per rendere più difficile il reperimento della documentazione agli organi di controllo. E c’è pure un aspetto internazionale dell’inchiesta: in alcuni casi, infatti, le somme realizzate con le truffe sono state ricevute dai beneficiari su conti correnti aperti presso banche attive all’estero, e poi fatte rientrare in Italia attraverso complesse e vorticose movimentazioni economiche. Per far perdere le tracce del denaro.

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Pubblicato da
Carla Lopes