Palermo, operazione antimafia contro il clan “Noce”: 9 arresti

di Redazione
25/05/2022

La Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Palermo ha delegato la Polizia a eseguire un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, nei confronti di 9 indagati (di cui 8 in carcere ed 1 agli arresti domiciliari), ritenuti responsabili di associazione di tipo mafioso ed estorsione con l’aggravante del metodo mafioso.

Il provvedimento restrittivo scaturisce da una complessa indagine avviata dalla Squadra Mobile di Palermo e dal Servizio Centrale Operativo della Direzione Centrale Anticrimine, nel 2020 e coordinata dalla locale Procura della Repubblica -DDA -, che avrebbe consentito di ricostruire l’organigramma delle famiglie mafiose del mandamento della Noce/Cruillas che comprende le famiglie mafiose della Noce, Cruillas/Malaspina ed Altarello.

Le indagini eseguite hanno permesso di individuare gli odierni indagati quali ulteriori indiziati mafiosi delle famiglie del mandamento Noce-Cruillas, consentendo, altresì, di raccogliere gravi elementi sui loro rispettivi ruoli e contributi nella organizzazione degli assetti della suddetta consorteria mafiosa.

Si tratta, per 5 di essi, di persone già condannati a vario titolo per l’appartenenza a cosa nostra. Sarebbe stata così documentata l’ascesa al vertice del mandamento Noce/Cruillas di colui che sarebbe ritenuto l’attuale capo, dopo aver sofferto un lungo periodo di detenzione in carcere.

La sua ascesa ai vertici di cosa nostra sarebbe già stata favorita, negli anni passati, dai fratelli Lo Piccolo, alla presenza dei quali, peraltro, sarebbe stato ritualmente “combinato”, e sempre per volere di questi sarebbe stato, allora, posto a capo del sodalizio mafioso. La sua storia criminale gli avrebbe permesso così di riorganizzare ed imporre nuove regole all’intero del mandamento, attraverso riunioni che sarebbero state registrate dalla polizia giudiziaria, rese riservate dai partecipanti, secondo un collaudato protocollo di riservatezza, consistente nell’avviarsi, senza telefonino, in lunghe passeggiate lungo le pubbliche vie con i vertici delle altre famiglie mafiose.
La riorganizzazione avrebbe comportato l’ascesa criminale di uomini di sua totale fiducia ed il contestuale ridimensionamento di quelli ritenuti nel mirino delle forze dell’ordine.

L’indagine avrebbe evidenziato alcuni soggetti di vertice dell’organizzazione tra cui colui che avrebbe assunto il controllo della cassa della famiglia acquisendone direttamente la gestione (“u vacilieddu”), nella sua strategia rientrerebbe la presunta estensione a tappeto delle estorsioni, con imposizione del pizzo a tutti gli esercizi commerciali, strategia questa criticata da alcuni affiliati poichè sarebbero state coinvolte attività di poco conto e ciò avrebbe creato malcontento.

Nel corso di una documentata riunione del vertice mafioso, sarebbe stato rimproverato al capo famiglia della Noce, l’avvenuto aumento di nuove attività commerciali che andavano sottoposte a un più incisivo controllo della famiglia mafiosa, sicchè quest’ultimo si sarebbero impegnato a fare il possibile per riportare il territorio e le relative attività economiche sotto il totale controllo della famiglia mafiosa, nonostante fosse conscio dei rischi connessi ad una sua sovraesposizione nella riscossione del pizzo.

Il controllo del territorio sarebbe stato esercitato in modo capillare, anche un furto di un’auto o in un’abitazione avrebbe ingenerato l’irritazione di cosa nostra che, tramite i suoi affiliati, così come emerso in corso di indagine, si sarebbe attivata per individuarne gli autori ed evitare ulteriori episodi come anche l’occupazione abusiva degli immobili sarebbe stata sottoposta all’autorizzazione mafiosa, scegliendo anche gli eventuali beneficiari di fatto.
Nessuna attività produttiva sfuggirebbe alle attenzioni di cosa nostra, dal negoziante all’ambulante; tutti gli esercenti sarebbero soggetti alle presunte pretese del pizzo quando non addirittura costretti, ab origine, a chiedere l’autorizzazione prima di avviare i lavori.

Ne sarebbe la dimostrazione l’autorizzazione all’installazione di alcuni distributori a gettoni presso esercizi commerciali della zona, ovvero l’autorizzazione all’acquisto di un parcheggio con il preciso divieto all’avviamento della connessa attività di autolavaggio, utilizzando argomentazioni perfettamente aderenti alla logica mafiosa e per concludere, l’autorizzazione alla ristrutturazione di immobili.

Nel corso di un episodio un commerciante sarebbe stato duramente rimproverato in quanto, nonostante stesse attraversando un periodo di difficoltà economiche, alle pretese estorsive avrebbe osato rispondere in modo ritenuto “oltraggioso” all’emissario di cosa nostra.

In un altro caso un ambulante, alla precisa richiesta del capo famiglia della Noce, avrebbe risposto di avere prodotti di scarsa qualità ma di essere in grado di accontentarlo il giorno seguente, ricevendo in cambio l’ammonizione che, ove non avesse tenuto fede alla promessa, avrebbe dovuto lasciare la sua postazione di vendita.“

L’operazione condotta oggi dalla Polizia di Stato a carico dei componenti del direttorio del mandamento mafioso della Noce, tanto caro a Salvatore Riina, conferma il tentativo attuale di cosa nostra palermitana di mantenere
saldamente il controllo del territorio, soprattutto attraverso l’imposizione di pratiche estorsive ancora una volta tollerate da chi riceveva le richieste di pizzo. Gran parte dei componenti delle famiglie della Noce, di Cruillas e di Altarello, tratti in arresto in queste ore, avevano ricoperto in passato importanti cariche nella struttura mafiosa e per le quali avevano subito condanne definitive. La detenzione carceraria per la durata della pena comminata non ha consentito il recupero del condannato nè la sua rieducazione, tanto che riguadagnata la libertà gli odierni indagati hanno ripreso a perseguire interessi delle famiglie mafiose di appartenenza. La sola detenzione, dunque, sembra non essere stata efficace a recidere il legame tra il condannato e l’organizzazione mafiosa. Esiste una sorta di specialità del detenuto mafioso che finisce necessariamente per legittimare nei suoi confronti un trattamento detentivo peculiare”.
E’ quanto afferma il Prefetto Francesco Messina, Direttore Centrale Anticrimine.