Sui Nebrodi si può fare impresa. E chi dice il contrario mente

di Giovanni Doe
03/12/2025

C’è una verità che da anni nessuno vuole pronunciare perché mette a nudo alibi, pigrizie e responsabilità: sui Nebrodi si può fare impresa. E se non accade, il problema non è la montagna, non è la distanza, non è il destino. Il problema siamo noi. La storia di Sicily Addict e della nuova linea di alta pasticceria nata a Mirto, 800 abitanti, non è un miracolo. È una sberla. Una sberla a chi ripete che “qui non si può”, a chi vive di assistenzialismo culturale, a chi usa il territorio come scudo per nascondere la propria incapacità. Una startup dei Nebrodi cresce, assume, esporta. La politica dei Nebrodi cosa esporta? Ritardi, lamentele, promesse.

Abbiamo trasformato il lamento in un mestiere: lamentarsi per ottenere aiuti, lamentarsi per giustificare l’inerzia, lamentarsi per non assumersi responsabilità. Finché arriva qualcuno che, senza aspettare contributi o benedizioni istituzionali, fa quello che qui sembra quasi una bestemmia: lavora, rischia, investe, cresce. E all’improvviso la narrativa dell’impossibile crolla, perché dimostra che non serve il politico di turno a tagliare il nastro: serve smettere di cercare scuse.

La classe politica locale e regionale è specializzata in due sport: il rinvio e lo scaricabarile. Ogni anno un nuovo tavolo, un nuovo protocollo, un nuovo annuncio. Intanto le strade franano, i fondi restano inutilizzati, i progetti non decollano, i giovani emigrano. Sui Nebrodi amministrare sembra consista più nel commentare i problemi che nel risolverli. Diciamolo senza filtri: la politica non ha creato sviluppo, ha creato dipendenza. E oggi, davanti a un’impresa che cresce senza chiedere nulla, questa stessa politica appare nuda, priva di risultati, priva di visione.

Le risorse non mancano: PNRR, fondi europei, misure regionali, capitali privati. Ciò che manca è la capacità di usarle e la volontà di rompere il meccanismo che tiene tutto fermo. Perché un territorio che si sviluppa non ha più bisogno di padroni politici, e questa è una verità che fa paura a molti. È più facile continuare a gestire un’economia del bisogno che accompagnare un’economia del merito.

Smettiamola con l’autocommiserazione. Non è vero che i Nebrodi sono una terra condannata. È vero che siamo diventati bravissimi a condannarci da soli. È troppo facile dire “siamo isolati”, “siamo dimenticati”, “siamo sfortunati”. È la scusa perfetta per non cambiare nulla. Il punto non è ciò che ci manca: è ciò che non pret endiamo più. Un territorio che non pretende smette di crescere, smette di sognare, smette di esistere.

Se una startup nata in un paese di 800 abitanti può investire, produrre, competere e vendere in Europa, allora chi non ci prova non ha più scuse. Chi continua a dire “non si può” appartiene a una categoria sola: quella di chi ha interesse a mantenere tutto com’è. Politici che vivono sul bisogno, amministratori che galleggiano, cittadini che preferiscono il lamento all’impegno. Il tempo degli alibi è finito. È iniziato il tempo della prova dei fatti.

Sui Nebrodi si può fare impresa. E chi non lo fa, chi non lo permette o chi lo ostacola deve avere il coraggio di guardarsi allo specchio — e, se serve, farsi da parte. Perché il futuro non arriva da fuori: si costruisce qui, o non arriva affatto.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.