Lotta alla mafia, l’esercito non basta: ripensare gli strumenti di sviluppo dei Nebrodi

di Salvo Lapietra
22/05/2016

Il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha, giustamente, annunciato che sui Nebrodi per combattere la mafia arriveranno reparti specializzati. Anche questo è lo Stato che sa, quando vuole, reagire alla prepotenza e alla sopraffazione delle mafie. Lo aveva già fatto, da queste parti, negli anni Novanta, dopo la coraggiosa denuncia dei commercianti di Capo d’Orlando e non solo. Ma l’errore è quello di pensare che il problema della mafia sui Nebrodi si possa risolvere con interventi estemporanei e militari. La vasta letteratura sull’argomento dimostra che la mafia, sui Nebrodi, non è un fenomeno estemporaneo: è un  fatto endemico, presente, costante. Sia essa mafia agricola o rurale che mafia, per così dire, urbana. Una mafia che per sua natura preferisce agire nel cuore delle montagne, in luoghi dimenticati, tartassando e vessando gli agricoltori, i pastori, e alleandosi con il potente di turno.  Basterebbe andare a ripassare il caso dell’omicidio, rimasto impunito, dell’assessore socialista di Tusa Carmelo Battaglia ucciso il 24 marzo 1966: sindacalista socialista dei Nebrodi  era stato dirigente della Camera del lavoro di Tusa e socio fondatore della cooperativa “Risveglio alesino”, nata nel 1945 per la concessione delle terre incolte. Carmelo Battaglia è stato ricordato recentemente a Tusa, nell’indifferenza generale.

Chi conosce l’area dei Nebrodi sa che quella mafia di cui parliamo oggi non è estranea ai meccanismi del potere: un tempo alleata dei proprietari del feudo, oggi al servizio di se stessa ma sempre con l’obiettivo di mettere le mani e sfruttare le terre, il bosco, l’agricoltura, la pastorizia. E’ la logica della gestione parassitaria dell’intera economia. Hanno avuto e hanno un potere enorme, anche grazie alla sponda che riescono a trovare nelle amministrazioni locali, e sono riusciti a condizionare le scelte politiche in questi anni: una famiglia potente è in grado di determinare, in piccoli paesi, anche l’elezione del sindaco.  Serve l’esercito dunque? Oppure basta militarizzare l’intero Parco dei Nebrodi per ottenere l’effetto sperato? Ovviamente no. Serve, semmai, intervenire alle fondamenta del sistema economico e sociale per fare in modo che le risorse dell’Unione europea siano utilizzate per sostenere l’economia sana, le buone idee, chi dimostra di essere in grado di produrre e stare sul mercato.  La storia dimostra che la mafia (e certa politica) ha sempre visto come il fumo negli occhi le aggregazioni: cooperative, consorzi, alleanze di produttori. Un sistema economico efficiente dà fastidio perché toglie  linfa al sistema clientelare che da sempre alligna da queste parti. E qui, sia detto chiaramente, l’intero sistema istituzionale va ripensato, alzando muri contro il malaffare per evitare che si faccia di tutta l’erba un fascio. L’esempio è Tortorici: si può mai dire che tutti i tortoriciani sono mafiosi o collusi? Chi pensa una cosa del genere o è stupido oppure è in malafede. Perché Tortorici, che era un paese ricco e commercialmente florido, è l’esempio di un territorio penalizzato dalle politiche degli ultimi quarant’anni con il paradigma di un sostegno al reddito per gli agricoltori aprioristico, passivo: i soldi devono andare a chi dimostra di avere la voglia e la forza di produrre, a chi può dimostrare di aver portato sul mercato prodotti veri, a chi si impegna a difendere queste montagne dal malaffare ma anche dall’abbandono. Non basta avere un pezzo di terra, bisogna dimostrare che quel pezzo di terra produce qualcosa, e che c’è la ricerca di mercati. Se facciamo un calcolo a “femminina”, come si dice da queste parti, vediamo che a un certo numero di giornate agricole lavorate non corrisponde un uguale aumento del reddito delle famiglie, non c’è un incremento del Pil, della spesa trasparente. A che serve la manodopera se poi non c’è un vero mercato, non ci sono prodotti in vendita, non c’è una filiera dell’agricoltura in grado di dimostrare l’efficienza del sistema? Più che battaglioni di carabinieri e poliziotti, servono reggimenti di uomini della Guardia di Finanza: controlli a tappeto per scoprire l’economia in nero, salvando le aziende sane e punendo quelle malate, nate solo per ottenere contributi dallo Stato. Per rimettere in moto l’economia vera, quella che i mafiosi non vogliono e fanno di tutto per impedire che si sviluppi: cinquant’anni fa ammazzando Carmelo Battaglia, oggi provando a uccidere il presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci.

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