Macellazione illegale: ecco come funzionava la filiera criminale sui Nebrodi

di Turi Milano
16/12/2016

Patti – Una filiera perfetta. Organizzata. Ma dannosa, molto, per la salute dell’uomo. E’ quello che emerge dall’inchiesta della procura di Patti che ha coordinato le indagini della polizia del commissariato di Sant’Agata di Militello e che ha portato nei giorni scorsi all’esecuzione di 33 misure (11 gli ordini di custodia cautelare in carcere). Secondo la ricostruzione fatta dalla polizia c’era chi si occupava del procacciamento di bestiame e nel trasporto degli animali, molto spesso con mezzi non idonei, dove gli animali subivano spesso violenze, in luoghi ove venivano macellati clandestinamente, spesso all’aperto, in totale assenza di controlli sanitari e requisiti igienici. Poi la carne ottenuta veniva conservata in celle frigorifero per essere venduta ai vari “clienti” a volte la carne appena macellata veniva consegnata ai commercianti o ai privati che avevano fatto l’ordine.
A incassare ci avrebbe pensato Salvatore Biagio Borgia, definito dagli inquirenti capo e organizzatore dell’associazione per delinquere, che poi avrebbe diviso con gli altri componenti del gruppo.
Per commercializzare la carne, sostengono gli inquirenti, il gruppo si sarebbe servito principalmente di Alberto Paterniti, titolare di una macelleria in Tortorici e del fratello di quest’ultimo, Aurelio Claudio Paterniti, titolare di una attività di vendita ambulante di alimenti derivanti dagli animali (insaccati, ricotte ecc.). La carne ottenuta dalla macellazione clandestina di capi rubati veniva messa in commercio fresca o sotto forma di insaccati, privi di tracciabilità ed etichettatura.
Secondo gli investigatori, che portano a supporto le intercettazioni, la vendita di animali macellati clandestinamente sarebbe stata favorita, dal responsabile del posto fisso di Polizia di Tortorici, il sostituto commissario Vincenzo Saporito il quale avrebbe intrattenuto rapporti diretti con il Alberto paterniti e gli avrebbe dato la necessaria copertura nei controlli di polizia.
Le carni così ottenute, potenzialmente pericolose per la salute dell’ignaro consumatore (carne di dubbia provenienza, senza controlli sanitari e requisiti igienici, in cattivo stato di conservazione), venivano immesse sul mercato, esponendo i cittadini ad elevati rischi per la salute.
In altri casi, gli animali, anziché essere macellati immediatamente, venivano nascosti nei terreni a disposizione del Borgia o di appartenenti al gruppo. Per eludere eventuali controlli delle forze dell’ordine, ne veniva spesso falsata l’identità, con l’applicazione di altri marchi auricolari (intestati a componenti del sodalizio).
Accanto a cosiddetto gruppo Borgia, secondo gli inquirenti, ve n’era un altro che avrebbe fatto capo capo a Nicolino Gioitta il quale nel corso degli anni avrebbe “costruito ed organizzato un’intera filiera illegale della carne, anche se in maniera molto più sofisticata, poiché supportata, come accennato, dalla complicità del Servizio Sanitario Veterinario di Sant’Agata Militello”.
In questo caso l’attività iniziava dal furto di suini, ovini, caprini e bovini: gran parte dei furti, che gli investigatori hanno documentato con le intercettazioni telefoniche e riscontri sul campo, si concentrava prevalentemente sui suini neri. Animali che sarebbero stati commercializzati grazie alla complicità della macelleria di Tindaro Giacomo Agostino Ninone, con sede in Mirto, titolare di un allevamento di suini neri, il quale avrebbe fatto transitare dalla sua azienda i suini provento di furto che sarebbero stati regolarizzati tramite la simulazione di nuove nascite o con l’invio al macello ovvero, in alternativa, macellando clandestinamente. Per gli investigatori “è indubbio che vi è un elevatissimo rischio di infezione per il consumatore finale in caso di consumo di carne e derivati (si pensi ai salumi o prosciutti che non subiscono trattamenti termici) di animali infetti da tubercolosi e non sottoposti a controlli sanitari o a visite post mortem “l’utilizzo inoltre del suino Nero dei Nebrodi nella produzione di prodotti alimentari presso le popolazioni autoctone “macellazione familiare’’, è una potenziale fonte d’infezione anche per l’uomo”.
Per evitare controlli inopportuni delle Forze dell’ordine, il gruppo Gioitta si sarebbe avvalso del supporto del comandante dei vigili urbani del Comune di Alcara Li Fusi, Nicolino Oriti il quale avrebbe rivelato a Gioitta preventivamente eventuali attività di controllo effettuate durante i periodi di divieto di pascoli sui terreni comunali.
Gioitta avrebbe gestito “di fatto le vendite del gruppo – si legge nell’ordinanza firmata dal Gip del Tribunale di Patti – e vantava diversi acquirenti di suini neri con i quali prendeva accordi e appuntamenti per la consegna”.

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