Naso, Dia di Messina sequestra patrimonio di un noto imprenditore della macellazione

di Redazione
20/07/2018

La Dia di Messina, supportata dal Centro Operativo di Catania diretto da Renato Panvino, sta sequestrando l’ingente patrimonio di Nunzio Ruggeri, imprenditore di Naso operante nel settore della macellazione e commercializzazione del pellame, per un valore complessivo prudenzialmente stimato in 9 milioni di euro.

Apposti i sigilli a due imprese comprensive di capitale sociale e compendio aziendale; una quota pari al 20% del Fondo Consortile di un Consorzio; 20 unità immobiliari tra fabbricati e terreni; 23 mezzi personali ed aziendali e vari rapporti finanziari, anche intestati a soggetti terzi individuati

Il provvedimento è del Tribunale Misure di Prevenzione di Messina, su proposta del direttore della Dia, generale Giuseppe Governale, in sinergia con la Dda della Procura di Messina guidata da Maurizio De Lucia. L’operazione riguarda il capitale sociale di imprese e relativi compendi aziendali, immobili, terreni e vari rapporti finanziari, anche intestati a prestanome.

Ruggeri è stato menzionato dal collaboratore di giustizia Santo Lenzo legato ai sodalizi mafiosi nebroidei – per alcuni collegamenti con elementi di vertice della criminalità organizzata “tortoriciana” quali lo stesso Lenzo, Cesare Bontempo Scavo e Carmelo Armenio. In particolare, da alcune dichiarazioni risalenti al 2002 del collaboratore Lenzo si evinceva che Ruggeri, nel 1999, tramite Carmelo Armenio– referente della criminalità organizzata sul territorio di Brolo – “aveva chiesto che fossero incendiati i mattatoi di Sinagra, Barcellona P.G. e Giammoro, impegnandosi, nel contempo, a versare lire 50.000.000 all’organizzazione mafiosa” che lo avrebbe verosimilmente favorito. L’intento criminoso non giunse a compimento “per l’opposizione dei rappresentanti della criminalità organizzata barcellonese”.

La sua caratura criminale, riferibile ad una lucrosa e continuativa attività usuraia, è stata rilevata con sentenza di condanna della Corte di Appello di Messina del 2005,divenuta irrevocabile nel 2009. La vicenda traeva origine dalle illecite condotte poste in essere dal Nunzio Ruggeri, negli anni 1998/2000, nei confronti di undipendente di banca che, in ragione della sua personalità facilmente condizionabile, aveva generato, all’istituto di credito presso cui era impiegato, un dissesto economico per circa 76 milioni del vecchio conio attraverso la negoziazione di tre assegni. Questi, nel tentativo di ripianare la situazione, attraverso alcune “amicizie”, si rivolgeva a diversi soggetti, tra i quali anche il Ruggeri, al fine di ottenere alcuni prestiti rilevatisi, poi, di natura usuraia.

Diversi sono i pregiudizi nei suoi confronti: nel 2002, unitamente ad altri 20 soggetti, è stato denunciato dalla Guardia di Finanza di Melito Porto Salvo, quale utilizzatore di fatture per operazioni inesistenti emesse da una società di San Lorenzo operante nel commercio all’ingrosso di cuoio e pelli; nel 2005, è stato denunciato dal Nucleo Antifrodi del Comando Carabinieri Politiche Agricole e Alimentari di Roma, in ordine ai reati di falso ideologico aggravato e truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, e rinviato a giudizio quale legale rappresentante di una società oggi sottoposta a sequestro; nel 2012, a seguito di attività di indagine dei Carabinieri di Sant’Agata di Militello, è stato rinviato a giudizio per il reato di usura continuata in danno di un imprenditore agrumicolo cui aveva applicato tassi di interesse del 10% mensili su somme prestate illecitamente; da ultimo, nel 2016, è stato rinviato a giudizio presso la Procura di Patti, per abusivismo finanziario, a seguito di attività d’indagine della Guardia di Finanza di Capo d’Orlando che ha rivelato l’illecita concessione di mutui con numerose dazioni, tra il 2005 ed il 2010, di somme di denaro per complessivi 794.225 euro.

L’attività d’indagine economico-finanziaria, che ha portato all’esecuzione dell’odierno provvedimento di sequestro, ha permesso di accertare che il Ruggeri, pur non avendo dichiarato redditi ufficiali sufficienti e capienti, era riuscito con l’illecita attività usuraia, nel periodo esaminato, ad incrementare il suo patrimonio personale ed imprenditoriale, anche intestandolo a congiunti parenti, di fatto suoi fidati prestanome.

I flussi finanziari intercettati nell’attività d’indagine, anche in riferimento ad anomali incrementi patrimoniali versati in “contanti” nelle casse sociali delle società, difformemente alle previsioni in materia di antiriciclaggio, non risultano giustificati dalle evidenze ufficiali.

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