Operazione “Concussio”, ascoltati i carabinieri della Compagnia di Mistretta

di Giuseppe Salerno
02/05/2019

Nuova udienza del processo “Concussio”, presso il Tribunale di Patti, a carico di nove indagati tra cui Giuseppe Lo Re, detto Pino, 56 anni, di Caronia, ritenuto esponente del mandamento mafioso di San Mauro Castelverde, Isabella Di Bella, la cartomante 69enne di Acquedolci, zia di Lo Re, e Vincenzo Tamburello, 42 anni, ex consigliere comunale di Mistretta, accusati di estorsione aggravata dal metodo mafioso.

Secondo i magistrati la mafia avrebbe imposto il pizzo sui lavori di restauro delle opere di «Fiumara d’Arte», il museo a cielo aperto, creato dal mecenate Antonio Presti, mentre era in corso la gara, indetta dal Comune di Mistretta, per i lavori di valorizzazione e fruizione del patrimonio artistico contemporaneo nebroideo.
A deporre in aula, alla presenza degli imputati Lo Re e Tamburello, tre componenti, all’epoca dei fatti, della squadra d’investigatori del Nucleo provinciale dei Carabinieri di Messina, che ha portato avanti l’inchiesta denominata “Concussio”.

Dalla deposizione degli stessi, tra l’altro, risalta come tra Isabella Di Bella e i coniugi imprenditori offesi, prima e dopo la presentazione delle querele, esisteva un rapporto confidenziale e di amicizia, motivo per cui la difesa della cartomante acquedolcese presenta, al Presidente del Tribunale, un’istanza di revoca della misura dei domiciliari che insiste sulla stessa, che trova opposizione da parte del Pubblico Ministero, Francesco Massaro, e dagli avvocati di parte civile. Sul banco dei testimoni anche due sottoufficiali del Nucleo Operativo della Compagnia Carabinieri di Mistretta che, tra il 2010 e il 2011, condussero le indagini, ordinate dall’allora competente Procura della Repubblica di Mistretta, dirette dal procuratore Luigi Patronaggio, atte a rilevare movimenti e/o frequentazioni sospette di personaggi locali con un soggetto, in precedenza, sottoposto a misura di sorvegliata speciale, residente in contrada Santa Marina, comune di Reitano.

Parliamo di Maria Rampulla (morta nel maggio 2016) sorella di Pietro, condannato per essere l’artificiere della strage di Capaci e all’epoca dei fatti detenuto e di Sebastiano, storico capo della famiglia di Mistretta. Dalle informative redatte dall’allora capitano dei carabinieri Giodi Linguanti, sulla base d’intercettazioni telefoniche, video ed ambientali, esposte in aula dai due militari dell’Arma, emerge un via vai di soggetti dalla residenza della Rampulla, tra cui un noto imprenditore di Mistretta, l’imputato Vincenzo Tamburello, uno zio di quest’ultimo, Pino Lo Re e un soggetto, residente a Castel di Lucio, identificato dai militari come figlioccio della Rampulla. Le intercettazioni ambientali, raccontante in aula, riferiscono come Maria Rampulla venisse investita quale intermediaria per evitare all’imprenditore mistrettese di recuperare delle somme, oltre 300 mila euro, reclamate dallo stesso  a fronte di servizi resi all’impresa realizzatrice della maxi opera Parco Eolico, che secondo quanto lamentato dal titolare dell’impresa alla “Signorina”, non aveva ancora riscosso.

Somme che, Vincenzo Tamburello, amico e contabile del titolare della ditta esecutrice dei lavori, assieme allo zio, secondo quanto riferito dai carabinieri, cercava di non far pagare, perché non dovute, intervenendo sulla Rampulla affinché la stessa intercedesse sull’imprenditore mistrettese affinchè non intraprendesse le vie legali. La Rampulla, secondo quando emerge da un’intercettazione ambientale, si sarebbe immediatamente messa a disposizione pretendendo un importo pari a 10 mila euro, per l’opera d’intermediazione, dell’impresa esecutrice dei lavori. I carabinieri, coordinati dal capitano Linguanti, ipotizzando l’esistenza di un gruppo di potere che gestiva gli affari e controllava gli uffici del Comune di Mistretta, e per quanto rilevato dalle attività, informano del reato di estorsione aggravata dal metodo mafioso, a carico della signorina Rampulla, la competente Procura la quale, rilevando reati di competenza della Procura Distrettuale Antimafia, invia l’intero fascicolo alla DDA. Da lì in poi, sulla vicenda, non si hanno più notizie.

 

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