Operazione “Concussio”, resoconto della quarta udienza

di Giuseppe Salerno
12/09/2019

Riparte il processo sull’operazione “Concussio” al Tribunale di Patti dopo il rinvio dell’udienza, fissata per il 25 giugno, per l’assenza ingiustificata dei test (parte offesa) per i quali oggi è stata disposto l’accompagnamento coattivo.

Nuova udienza dunque che vede l’organo giurisdizionale impegnato ad accertare la verità su fatti legati alla mafia che avrebbe imposto il pizzo sui lavori di restauro delle opere di «Fiumara d’Arte», il museo a cielo aperto, creato dal mecenate Antonio Presti, mentre era in corso la gara, indetta dal Comune di Mistretta, per i lavori di valorizzazione e fruizione del patrimonio artistico contemporaneo nebroideo. Nove indagati tra cui Giuseppe Lo Re, detto Pino, 56 anni, di Caronia, ritenuto esponente del mandamento mafioso di San Mauro Castelverde, Isabella Di Bella, la cartomante 69enne di Acquedolci, zia di Lo Re, e Vincenzo Tamburello, 42 anni, ex consigliere comunale di Mistretta, accusati di estorsione aggravata dal metodo mafioso.

A deporre in aula le due persone offese, la coppia di coniugi imprenditori edili, Rosario Fortunato e la moglie Barbara Scaffidi che, il 23 gennaio 2016, convocati per la terza volta dai Carabinieri del Comando di Messina, denunciano una tentata estorsione, con l’aggravante del metodo mafioso, perpetrata a loro danno dal consigliere comunale amastratino, Vincenzo Tamburello, ed il 25 settembre 2017, circa un anno e mezzo dopo, per il medesimo reato, querelano anche Giuseppe Lo Re e Isabella Di Bella.  Presenti a distanza, in videoconferenza dalla Casa Circondariale di Siracusa gli imputati Pino Lo Re e Vincenzo Tamburello, mentre Isabella Di Bella, sottoposta all’obbligo di dimora, al posto dei domiciliari, dallo scorso 8 maggio, assisteva all’udienza tra il pubblico in aula.

La parte offesa Fortunato Rosario, amministratore unico dell’impresa Pegaso SRL, in aula riferisce, in modo molto confuso, raccontando spesso cose diverse rispetto a quanto riferito e sottoscritto, dallo stesso, nel verbale reso ai carabinieri del Comando Provinciale il 23 gennaio 2016, tanto da indurre il Pubblico Ministero, Francesco Massaro, ad intervenire con ripetuti aiuti alla memoria, per facilitare l’esposizione del Fortunato. Rosario Fortunato racconta di aver presentato 5 ricorsi poiché riteneva che le procedure di gara, per l’aggiudicazione dei lavori di restauro delle opere di «Fiumara d’Arte» fossero viziati da irregolarità.

Con il quinto ricorso l’Impresa Pegaso – riferisce sempre Fortunato – si aggiudica provvisoriamente l’appalto. I lavori però non iniziano e lui, assieme alla moglie, si rivolgono alla cartomante Isabella Di Bella la quale organizza un incontro con il nipote Pino Lo Re. Un uomo molto “influente”, dicono di aver appreso entrambi i coniugi Fortunato, che raccontano di aver saputo dalla Di Bella, che in un non definito e circostanziato periodo, avrebbe addirittura fornito ospitalità ad un importante latitante di mafia, in una sua abitazione a Caronia Marina. Un nome, quello di Lo Re, che i test conoscono molto bene giacché, a Rosario Fortunato gli era già stato descritto, in maniera positiva, dal titolare di un’impresa di sua conoscenza il quale, in occasione di lavori nella città di Randazzo, a seguito del furto di un mezzo a danno della medesima impresa, proprio l’intercessione di Lo Re sulla malavita locale, chiamato in causa dallo stesso titolare, consente il ritrovamento del mezzo. Nell’incontro fissato dalla cartomante Isabella Di Bella, tra Pino Lo Re e i coniugi titolari dell’impresa Pegaso aggiudicatari dei lavoro dopo il quinto ricorso – riferisce in aula l’amministratore unico di Pegaso – sarebbe stato lo stesso Lo Re, ritenuto dagli investigatori legato alla famiglia mafiosa di Mistretta e diretto rappresentante del mandamento di San Mauro Castelverde, a vantare delle importanti conoscenze a Mistretta e di essere in grado, sul territorio, di risolvere qualsiasi “situazione”

Le conoscenze a cui si riferisce il Lo Re – lascia intendere Rosario Fortunato – sarebbe Vincenzo Tamburello, uno stimato commercialista amastratino, consigliere comunale in carica. Nello stesso incontro – racconta il Fortunato – Pino Lo Re quale compenso per sistemare ogni cosa, chiede il pagamento di 50 mila euro, l’assunzione di tre soggetti e, per la fornitura di materiale cementizio, l’obbligo di rivolgersi alla ditta dei fratelli La Monica, di Caronia . Soldi – espone Fortunato – che, secondo quando riferitogli da Lo Re, dovevano essere “rimborsati” all’impresa A.T.I. Castrovinci costruzioni, la quale aveva già provveduto a versare, sotto forma di pizzo, alla mafia, che s’impegnava a “proteggere” la ditta per tutta la durata dei lavori, nel momento in cui si era aggiudicata l’appalto.

Parte dei 50 mila euro sarebbero serviti per il sostentamento del detenuto Pietro Rampulla, mafioso capomafia della Famiglia di Mistretta, all’ergastolo detenuto in regime di 41 bis, legato in particolare ai boss Nitto Santapaola e Giuseppe Farinella. “Per fare funzionare gli ingranaggi ci vuole l’olio” – avrebbe detto Pino Lo Re a Rosario Fortunato che oggi lo racconta. I 50 mila euro servono a sistemare la gara corrotta, l’importo verrà ripartito in tre parti: 30 mila per la signorina Maria Rampulla, sorella di Pietro, 10 mila euro al RUP e 10 mila al Presidente della commissione di gara, due geometri del comune di Mistretta.

Il nome dello stesso RUP, insieme a quello del direttore dei lavori, viene ripetuto dall’amministratore unico dell’impresa Pegaso, a cospetto del Collegio giudicante, quando racconta di essere stato convocato al Comune di Mistretta dallo stesso Responsabile Unico del Procedimento, il quale propone all’impresa di falsificare lo stato di avanzamento lavori per non perdere il finanziamento.

Dopo l’incontro con Lo Re – continua a raccontare Rosario Fortunato – vengo contattato telefonicamente da Vincenzo Tamburello il quale investito dalla problematica, da colui che lo stesso Tamburello telefonicamente definisce “amico comune” (Lo Re), mi dice che si sarebbe messo a disposizione per aiutarmi risolvere il problema e a farmi assegnare il lavoro che mi spettava di diritto. Da quel momento in poi diversi sono stati gli incontri tra l’amministratore unico dell’impresa Pegaso, la moglie dello stesso e il Tamburello.

In uno di questi incontri – racconta Rosario Fortunato – nello studio professionale del Tamburello, rappresento al consigliere la richiesta avanzatami dal RUP e del direttore dei lavori di falsificare lo stato di avanzamento dei lavori e racconto della pretesa, da parte di Lo Re, delle 50 mila euro. In quell’occasione Tamburello relativamente alla proposta del tecnico comunale e dell’architetto, direttore ai lavori, mi disse di lasciar perdere, di non prendere in considerazione la proposta; per i 50mila euro, pretesi da Lo Re, “per oleare gli ingranaggi” il Tamburello mi risponde: “già Pino si lampiau…ora ci penso io. Ci parlu io cu Pinu” e mi consiglia di non fare e non dare niente a nessuno.

Nella stessa circostanza Tamburello mi chiese di assumere un giovane di Mistretta che aveva bisogno di lavorare del quale, a mezzo posta elettronica, in seguito, mi inviò tutti i dati e per il quale io diedi piena disponibilità quando e se avessero iniziato i lavori per il restauro delle opere di «Fiumara d’Arte». Nel frangente i coniugi Fortunato – apprendiamo dalle deposizioni in aula – continuano a vedersi con la cartomante Isabella Di Bella la quale ad ogni incontro li esorta a versare le 50 mila euro al nipote Pino, iniziando, considerate le ristrettezze al momento dell’impresa, col versare anche un anticipo di 10 mila euro. Un’esortazione – raccontano i due – che si ripeteva ad ogni incontro.

Sulla scorta delle deposizioni della parte offesa, che abbiamo ascoltato in aula con molta attenzione, abbiamo avuto modo di percepire qualcosa di strano o meglio d’illogico: Isabella Di Bella mette in contatto i coniugi titolari dell’impresa con il sedicente nipote, descrivendo e vantando lo stesso di possedere la gestione criminale del territorio e di essere uomo fidato della signorina Maria Rampulla, sorella dei boss Pietro e Sebastiano; partecipa a quasi tutti gli incontri tra il nipote e l’impresa, conosce nei dettagli le richieste fatte ai coniugi, sollecita gli stessi a versare almeno una rata. Pino Lo Re – sempre dalla deposizione dei titolari dell’impresa Pegaso – chiede agli stessi una mazzetta di 50 mila euro, l’assunzione di tre soggetti, dice loro che dovranno rifornirsi del calcestruzzo dai fratelli La Monica di Caronia. Vincenzo Tamburello, dice loro di non versare nulla, che avrebbe dissuaso lui Lo Re; dice altresì – raccontato da Rosario Fortunato – di non dare ascolto alla proposta del RUP di falsificare lo stato di avanzamento lavori. Alla fine della fiera chi viene querelato il 23 gennaio 2016 dall’impresa ? Vincenzo Tamburello. Colui il quale, tra tutti, dal racconto dei querelanti, nei loro confronti, era risultato essere il meno peggio. Non suona strano, non fa riflettere il fatto che solamente un anno e mezzo dopo la querela depositata a carico di Tamburello, il 25 settembre 2017, vengono querelati Lo Re e la Di Bella?

Una riflessione, la nostra, che ci sta tutta e che trova sostegno nell’eclatante dichiarazione che arriva da Barbara Scaffidi, moglie e socia di Fortunato Rosario, amministratore unico dell’impresa Pegaso SRL, la quale sgonfia l’accusa nei confronti di Vincenzo Tamburello lasciando tutti a bocca aperta asserendo, davanti al Collegio giudicante che l’ex consigliere di Mistretta si era solo messo a disposizione per darci una mano. Il Tamburello – afferma la Scaffidi – lo abbiamo tirato dentro, forse per paura. Non abbiamo nulla contro di lui è stato sempre cordiale, immaginatevi che con lo stesso sono amica anche sul social Facebook. Un’amicizia virtuale si, ma pur sempre di amicizia si tratta.

Alla luce delle deposizioni, come era prevedibile, gli avvocati di Tamburello, Alessandro Pruiti e Eugenio Passalacqua, hanno presentato una istanza di sospensione dell’ordine di esecuzione della pena in carcere, chiedendo quindi la misura cautelare personale degli arresti domiciliari.

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