Operazione Gamma Interferon: carni cancerogene a tavola?

di Redazione
17/12/2016

Riprendiamo da Antimafiaduemila.it un ottimo pezzo di Luciano Armeli sulla questione delle carni illegali sui Nebrodi. Buona lettura

Baymec, Norfenicol, Amoxysol, Optiprime, Spiramin, Btvpuralsap, Fatroximin, Sintocin, Fatroximin, Cattlemaster, Lasix, Imovec(quest’ultimo di provenienza rumena) sono alcuni dei farmaci veterinari sequestrati (molti antibiotici e antielmintici) e somministrati illecitamente negli allevamenti nebroidei finiti nel mirino dell’operazione Gamma Interferon, scattata all’alba di mercoledì 14 dicembre, che chiude un’intensa attività d’indagine condotta dal Dott. Daniele Manganaro, dirigente del Commissariato di Sant’Agata di Militello e coordinata dai Sostituti Procuratori, Dott. Melis e Dott.ssa Bonazinga, della Procura di Patti. Una vicenda inquietante che svela, se confermati, particolari definibili a dir poco criminali e molto tossici per la salute dei consumatori.

Un’azione delinquenziale supportata da una cosciente banalità del male, attuata senza scrupolo da allevatori, macellai e veterinari dell’ASP di Sant’Agata Militello con una sorta d’inquietante sodalizio che annullava il netto confine tra controllori e controllati, tra veterinari e allevatori, tra allevatori e farmacisti, tra pubblici ufficiali e consorterie criminali zonali, tra coscienza e incoscienza, tra irresponsabili parassiti laureati e gli antiparassitari farmaceutici somministrati agli animali i cui residui potrebbero essere cancerogeni se destinati al commercio clandestino.
I controlli di farmaco-vigilanza e farmaco-sorveglianza, da parte dell’ASP con riferimento alla ricettazione medico-veterinaria e il rispetto dei tempi di sospensione, (specifici per ogni farmaco, dai 6 gg. agli 88 gg, tempo necessario all’organismo animale per metabolizzare il prodotto somministrato e così evitare di trovarne residui nelle carni, nel latte, nelle uova e negli alimenti da essi derivati), da quello che sembrerebbe risultare dall’inchiesta, totalmente mortificati dall’ignominiosa professionalità di dottori senza scrupoli.

Farmaci somministrati illegalmente, dunque, (anche scaduti), di provenienza estera e senza la necessaria autorizzazione ministeriale, alcuni, forse, tassativamente vietati nelle femmine in lattazione; e ancora, nei controlli di profilassi, false certificazioni da parte dell’ASP per le aziende nebroidee indagate, ai fini di far trarre loro i vantaggi delle erogazioni pubbliche (AGEA) e del pubblico consumo, con la qualifica sanitaria Non indenne (modello 2/33 e 4) per i tipi di malattia brucellosi bovina e bufalina, tubercolosi bovina e bufalina e leucosi bovina e enzootica, laddove si era in presenza, invece, di capi non identificati, di dubbia provenienza o, addirittura, infetti e/o a stretto contatto con allevamenti confinanti positivi.
Trattasi di certificazioni che cristallizzano, ad esempio, la variazione della cute animale a seguito del test della tubercolina e che accompagnano gli animali durante il loro trasporto al macello o per la vendita.
I capi infetti da queste malattie, si ricorda, devono essere abbattuti ai sensi delle normative vigenti in materia di Risanamento ufficiale degli allevamenti, per evitare il rischio di diffusione di queste malattie infettive agli altri animali e all’uomo: va da se pertanto che è vietato immettere nel circuito commerciale sia gli animali vivi, sia tutti i loro prodotti (latte, latticini, carne), nonché i sottoprodotti derivati (lana, pelli, altro).
Un’indagine dagli sviluppi aberranti che spiana la strada a mille altri interrogativi.
Chi procurava agli allevatori indagati i farmaci e chi spiegava loro le modalità di somministrazione? Era in atto, inoltre, congiuntamente al mercato clandestino della commercializzazione dei prodotti provenienti da capi infetti o non identificati, un vero e proprio mercato di farmaci paralleli provenienti dall’estero avallato dal complice silenzio (e forse non solo da quello) dei veterinari e dalla criminalità annidata tra gli allevatori?
Si tratta di una situazione organizzativo-delinquenziale limitata ai Nebrodi o di ampia diffusione?
E i vertici veterinari, messinesi e regionali, ne erano a conoscenza (sia del mercato clandestino di carni, sia di quello dei farmaci) e, se sì, con quale livello di connivenza? E in che modo, a prime notizie ufficiosamente trapelate, hanno cercato di smontare o depistare le indagini in corso?
L’interrogativo preoccupante è nel sapere, tra l’altro, in che misura la filiera delle carni infette nebroidee, in quest’ultimo triennio, ha inciso sulla salute di chi nella zona interessata (ma non solo) si è fidato della buona fede del macellaio amico e della “genuinità” delle sue carni e dei suoi latticini, anziché della garanzia delle derrate alimentari presenti nelle grandi catene.
I farmaci abusivi e dopanti, tra l’altro, trovati nelle aziende incriminate senza ricetta alcuna o con ricetta irregolare e priva di numero progressivo, avevano la caratteristica di rendere l’aspetto dell’animale più appetibile e sano, mentre del registro rilasciato dall’ASP, relativo al trattamento farmacologico degli animali, in alcuni casi non c’era traccia.
Si ricorda che la tracciabilità si concretizza all’atto “di una regolare prescrizione medico-veterinaria su modello ministeriale in triplice copia, di cui 1 (copia azzurra) viene dalla farmacia per legge inviata alla ASL competente per territorio ove ricade il destinatario della fornitura, 1 (rosa) rimane alla farmacia e l’ultima (gialla) datata, timbrata e firmata viene consegnata all’allevatore che ha l’obbligo di conservarla unitamente ai documenti fiscali di acquisto (fatture accompagnatorie e non scontrini fiscali) per 5 anni”.
In altri casi, l’azione fraudolenta messa in atto dall’ASP sembra mirare all’individuazione (illegale) preventiva degli animali infetti per sostituire i campioni di sangue dei capi malati con sangue di capi puliti(cosiddetto doppio campione), manipolando, in questo modo, lo stato di salute dell’azienda, al fine di assicurare l’etichetta di “ufficialmente indenne”.
In alcune aziende le identificazioni di animali si sono mostrate fittizie o anomale, miranti verosimilmente a coprire la provenienza clandestina degli stessi.
Una situazione di certo preoccupante.
I test gamma-interferon effettuati sugli animali “incriminati” hanno riscontrato la positività alle infezioni da tubercolosi con un’approssimazione di errore pari allo zero.
Così il Dott. Manganaro“Il sistema è inquietante perché colpisce la salute dei cittadini. La trasmissione di malattie infettive, quali la tubercolosi e la brucellosi e la mancanza di farmaco-vigilanza potrebbe comportare un serio problema di salute per il cittadino che si nutre di quelle carni. Affinché si trovino delle idonee soluzioni, si dovrebbe effettuare un forte intervento normativo per far si che dei reati così importanti, da contravvenzioni, diventino delitti”.
I rischi sanitari legati all’assunzione di alimenti contenenti residui di farmaci veterinari potrebbero (il condizionale è d’obbligo) causare fenomeni di antibiotico resistenza; effetti deleteri degli ormoni che provocano alterazioni endocrine a vari livelli sia negli individui di sesso femminile, sia in quelli di sesso maschile; forme tumorali se le assunzioni di alimenti con residui sono in dosi importanti e per periodi piuttosto lunghi.
Rimbombano, in tal senso, le parole di Umberto Veronesila carne è cancerogena, paventando il rischio di diffusione di tumore al pancreas e al colon per chi abusa nel consumo di prodotti animali. Se questi sono pure “infetti” il pericolo sembrerebbe, allora, ancor più concreto.
È, comunque, da rilevare la serietà e la professionalità della stragrande maggioranza degli allevatori nebroidei che lavorano prodotti animali di assoluta sicurezza, la cui eccellenza è certificata ad altissimi livelli, varcando i confini del mercato regionale e nazionale.
La Procura di Patti, il Dott. Luca Melis e i suoi colleghi, sembra aver fatto giurisprudenza con la contestazione di un nuovo reato: associazione per delinquere finalizzata all’uccisione di animali e altri reati commisti. Forse, in una situazione siffatta, la colpa moralmente più infamante consiste, per i pubblici addetti ai lavori, da un lato, quella della vivisezione della loro posizione etica, il martirio della loro lealtà alla professione; dall’altro, l’omissione consapevole della denuncia di un reato lesivo per la vita umana. Altamente lesivo!

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