La Provola di Casal Floresta

di Salvo Lapietra
22/04/2014

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La provola di Casal Floresta è sicuramente il più rappresentativo tra i prodotti tipici di Floresta comune del Parco dei Nebrodi. Ma come “nasce” una provola? Anzitutto ci preme affermare che i metodi di lavorazione sono dovunque artigianali, ormai collaudati da secoli di esperienza. L’intero ciclo si svolge tra l’alba e il mattino, ed è curato personalmente dall’allevatore di Floresta, prima di condurre gli animali al pascolo. Tutto inizia con la mungiuta (la mungitura), manuale o elettrica: il latte, non scremato, viene immesso in un recipiente di legno, ‘a tina, nel quale si aggiunge ‘u quagghiu, il caglio naturale ricavato dal quarto stomaco degli agnelli da latte. Dopo circa un’ora, quando si è formata una massa bianca gelatinosa, si “rumpi ‘a quagghiata” (si rompe la cagliata) con un apposito attrezzo, ‘a rotula o brocca, un bastone molto simile ad una frusta da cucina, e si rimescola il tutto con una pala stretta e lunga di legno duro (faggio o ciliegio), ‘a manuvedda, finché tutta la parte solida, ‘a tuma, precipita in fondo al recipiente separandosi dal liquido grasso e giallastro, tacciata. Da questo momento i due componenti seguono strade diverse: si travasa il liquido in una tinozza più piccola, ‘a cisca, mentre la tuma viene prima irrorata di seru (siero, ne parleremo più avanti), per farla rapprendere, e quindi raccolta in canestri di giunco intrecciati a mano (‘i fasceddi), o in più moderni contenitori d’acciaio forati, e posta a scolare. La tacciata, intanto, viene messa sul fuoco nella quarara (caldaia) e portata, in circa un’ora, fino ad una temperatura di 95 gradi, rimescolando di tanto in tanto con un bastone. Raggiunta la temperatura, si versano nella caldaia il latte e l’acru (siero fermentato), ciascuno in proporzione di un litro ogni dieci di tacciata, e si lascia riposare per una decina di minuti, finché affiora la ricotta, che viene schiumata con larghi mestoli di rame e deposta in fasceddi (cestelli) di giunco (o di plastica), che poi sono lasciati a scolare nel mastreddu, una specie di madia. La tuma, invece, al temine della scolatura (almeno cinque ore), viene estratta dai contenitori, spianata su una canniggiata (traliccio di canne) e posta a lievitare per tutta la notte sotto pressa. Al mattino seguente, quando la pasta sarà d’un bel colore avorio-rosato, compatta e piena di bollicine, viene tagliata a strisce sottili e posta dentro una cisca. Terminata la schiumatura della ricotta, nella quarara rimane un liquido giallognolo, sapido, ‘u seru (il siero), che viene versato ancora caldissimo sulla tuma affettata, fino a farla fondere. Si mescola rapidamente con la manuvedda, fino ad avere un impasto plastico e filante che viene “fermato” con un getto d’acqua fredda e, tagliato a pezzi, è rifinito a mano e ‘gnutticatu (cioè involto dai margini verso l’interno) per dargli la classica forma a pera della provola, o spianato per ottenere le caciotte. Al termine della manipolazione (operazione molto rapida alla quale partecipano tutti i presenti) i formaggi vengono immersi in una vasca d’acqua fredda, dove si rassodano, e poi appesi per la stagionatura.
Dalla stessa pasta i casari di Floresta più abili riescono a modellare gli artistici “cavadduzzi” e “palummeddi”, che si possono vedere esposti in diversi negozi a Floresta.
Il siero rimasto viene lasciato nella cisca a fermentare, per ottenere l’acru per l’indomani.
E tutto ricomincia.
tratto da www.florestagiovane.it

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