Pubblicare sui social foto di minori è un illecito, anche se si tratta dei figli

di Redazione
08/01/2018

I genitori che pubblicano le fotografie dei figli minorenni sui social network sono avvertiti: si tratta di un illecito che può portare alla rimozione delle immagini per ordine del giudice ma anche al pagamento di una somma di denaro in favore dei figli. Lo ha stabilito due settimane fa il Tribunale di Roma che ha condannato una madre non solo a rimuovere i contenuti che riguardavano il figlio sedicenne, ma anche a pagare 10mila euro a quest’ultimo – tramite il tutore – e al marito in caso di inottemperanza all’ordine di rimozione o al divieto di successivi post (ordinanza del 23 dicembre 2017).

Un precedente unico in Italia, che detta un principio di diritto forte a tutela dei minori, nel solco di numerose pronunce che negli ultimi anni hanno costretto i genitori a disattivare i profili Facebook aperti a nome dei figli o a rimuoverne le fotografie pubblicate nelle proprie pagine social. Tanto che le disposizioni che regolano la gestione pubblica dell’immagine dei minori da qualche anno sono entrate anche nelle condizioni dei ricorsi per separazione consensuale e di divorzio, per evitare controversie: i genitori si mettono d’accordo da subito sull’utilizzo delle foto dei figli sui social o come sfondo dei profili Whatsapp, in genere vietandone l’utilizzo e chiedendo l’omologa da parte del tribunale.

Il principio giuridico alla base di divieti e ordini di rimozione è semplice. L’articolo 96 della legge sul diritto d’autore (legge 633/1941) prevede che il ritratto di una persona non possa essere esposto senza il suo consenso, salve eccezioni. Lo stesso dispone il decreto legislativo 196/2003 in materia di trattamento dei dati personali. La fotografia, come qualsiasi altro elemento identificativo, è un dato personale e non può essere diffuso se non c’è l’autorizzazione dell’interessato. In più i minori godono di una tutela rafforzata data dall’articolo 16 della Convenzione sui diritti del fanciullo approvata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata in Italia con la legge 176/1991.

I figli non fanno eccezione, anzi gli articoli 147 e 357 del Codice civile impongono ai genitori un dovere di cura e di educazione nei loro confronti che – tradotto e attualizzato – include anche la corretta gestione dell’immagine pubblica del minore. Se i genitori disattendono questi doveri può intervenire il giudice con sentenze che negli ultimi anni si sono mosse tutte nella stessa direzione: quella di tutelare i minori dai rischi di una sovraesposizione sui social. Il 19 settembre 2017 il Tribunale di Mantova ha ordinato a una madre di non inserire le foto dei figli e di rimuovere quelle già pubblicate. E già nel 2013 il Tribunale di Livorno aveva prescritto la disattivazione di un profilo Facebook aperto a nome della figlia minore e l’eliminazione delle foto dal suo profilo. Eppure le questioni legate alla visibilità dei figli continuano a dividere i genitori, soprattutto in fase di crisi familiare, portando a chiedere ai giudici di pronunciarsi anche sui profili educativi.

Alla luce di questo orientamento, il genitore che voglia impedire l’uso da parte dell’altro delle fotografie del figlio può agire in due modi. O con un ricorso autonomo in base agli articoli 96 della legge sul diritto d’autore e 10 del Codice civile, o prevedendo condizioni ad hoc nel ricorso per separazione o divorzio. In caso di separazione giudiziale il giudice, già con i provvedimenti provvisori, potrà far valere i diritti dei figli minori, tutelandone la riservatezza. In ogni caso il tribunale potrà ordinare l’eliminazione delle foto o la disattivazione del profilo del minore, sostituendosi al genitore che ha dimostrato di trascurare i profili educativi legati al corretto utilizzo delle nuove tecnologie.

Oltre alla tutela di immagine e privacy del minore, le pronunce dei giudici hanno l’obiettivo di arginare i rischi più frequenti del web. Già nel 2014 la Cassazione, con la sentenza 37596, aveva definito i social come luoghi aperti al pubblico, potenzialmente pregiudizievoli per i minori che potrebbero essere taggati o avvicinati da malintenzionati.

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