Randagismo sui Nebrodi, Enpa: “Comuni inadempienti, emergenza delegata ai volontari”

di Emma De Maria
10/02/2017

Messina -Non esistono dati relativi al fenomeno del randagismo nel comprensorio dei Nebrodi. Non esistono, perché la popolazione che vive sul territorio non è stata mai censita.

Un fenomeno, caratterizzato da abbandoni, violenze, maltrattamenti e abusi, che è impossibile documentare attraverso i tradizionali canali istituzionali, ma che, come testimoniano le associazioni protezionistiche operanti sul territorio, è drammaticamente in crescita.

Nessuna politica di sterilizzazione dei randagi è stata attuata negli anni; nessuna iscrizione degli animali vaganti e di quelli padronali nell’archivio dell’anagrafe canina è stata mai effettuata; nessuna struttura di accoglienza e nessun rifugio sanitario, questi ultimi gestiti dai Comuni o con questi convenzionati, sono mai stati realizzati, nonostante quanto previsto dalla legge regionale numero 15 del 2000 in tema di prevenzione randagismo.

A denunciare l’emergenza che si consuma su Nebrodi, la responsabile dell’Ente Nazionale Protezione Animali per la provincia di Messina, Alessandra Parrinelli.

“Centinaia sono i casi di maltrattamento che ci vengono segnalati ogni giorno – racconta l’animalista –  molti animali sono stati salvati e, grazie agli sforzi dei volontari, hanno trovato una famiglia. Altri, purtroppo, denutriti e malati, nonostante i nostri sforzi, non ce l’hanno fatta. La gestione dell’emergenza è esclusivamente gestita dai volontari – spiega – cittadini come tutti gli altri sui quali si scaricano costi e  responsabilità che, per legge, attengono alle istituzioni”.

Compiti che la legge numero 281 del 1991 specifica, attribuendo la proprietà dei randagi che vivono su un determinato territorio alla città e al Sindaco che la rappresenta: “Il Primo cittadino nella veste di massima autorità sanitaria – prosegue la referente Enpa – ha il dovere di porre in essere politiche di accoglienza, sterilizzazione e microchippatura, queste ultime, in particolare, di concerto con l’Asp di riferimento”.

L’Azienda sanitaria provinciale di Messina però, attraverso un provvedimento del direttore generale, Gaetano Sirna, nel novembre 2014 chiude tutti i presidi della provincia: cancellando di fatto l’unico avamposto veterinario sul territorio nebroideo.

“E’ impensabile, oltre che logisticamente impossibile, immaginare che i cittadini di 108 Comuni possano recarsi settimanalmente a Messina per sterilizzare i randagi nei locali Asp dell’Annunziata – commenta la Parrinelli- sia per i lunghi tempi di attesa, durante i quali l’animale potrà avere nuove gravidanze, sia per le difficoltà di recupero e custodia temporanea. Non esiste un servizio di accalappiamento e la polizia municipale, competente per legge, non ci affianca né sostiene le nostre segnalazioni. Non possiamo aspettare che le istituzioni si sveglino dal loro colpevole torpore – denuncia – per questo i volontari si trovano costretti anche a sostenere i costi degli interventi di sterilizzazione”.

Un flop, quello del provvedimento voluto dal manager Asp, supportato da numeri palesemente negativi.

Nel biennio 2015 – 2016, sono stati appena 100 i cani sterilizzati nei locali dell’ex facoltà di Medicina veterinaria, mentre solo 14 sono stati i gatti sottoposti a intervento chirurgico.

Ad aggravare l’emergenza anche un’arretratezza culturale diffusa che alimenta violenze e soprusi: “Si tratta di comunità desensibilizzate dove è considerato lecito, normale abbandonare cucciolate indesiderate all’interno di sacchetti dell’immondizia lasciandoli morire per asfissia. Sento spesso dire che sterilizzare è contro natura – commenta con rabbia la responsabile Enpa – mi chiedo, a questo punto: come potremo definire invece l’assassinio di creature innocenti”?

E dall’entroterra alle aree più urbanizzate, da Galati a Capo d’Orlando, i Nebrodi continuano ad essere macabro teatro di soprusi e violenze: “Siamo riusciti a salvare circa 400 cani grazie all’impegno delle locali associazioni protezionistiche – racconta la Parrinelli – randagi, ma anche cani padronali, denutriti e devastati dai parassiti. Casi di maltrattamento che Enpa ha ampiamente documentato con esaustivo materiale fotografico, a testimonianza di una condizione di degrado e illegalità diffusa”.

Un binomio, quello tra illegalità e randagismo, determinato dalla presenza di quei fondi pubblici, destinati alla prevenzione del fenomeno, che fanno gola alla criminalità organizzata: “In assenza di un canile comunale – spiega la responsabile provinciale Enpa – molte le amministrazioni comunali siglano avventatamente convenzioni con privati, spesso prestanome, che divengono in tal modo destinatari di fondi pubblici. Veri e propri lager, spesso situati in altre provincie, dove l’accesso è precluso ai volontari. Qui i cani vengono detenuti senza cibo né acqua; reclusi in spazi angusti tra i propri escrementi; costretti a dormine all’addiaccio o sotto il sole cocente; legati a una corta catena che impedisce loro qualsiasi movimento, persino l’espletamento delle naturali necessità fisiologiche”.

Ignoranza, spesso dolo e connivenza, che aprono per i Comuni inadempienti la strada al reato di maltrattamento, così come previsto dall’articolo 544 del codice penale.

“Mi chiedo per quanto potremo andare avanti in questo modo? per quanto ancora i Comuni potranno sottrarsi alle proprie responsabilità invocando l’esistenza di emergenze più importanti? – si interroga l’animalista – Esistono responsabilità, leggi precise e pretendiamo vengano applicate: non resteremo a guardare – conclude – e come Enpa chiederemo presto un incontro con tutti i rappresentanti dei Comuni del comprensorio”.

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