Capo d’Orlando, sfruttamento della prostituzione: dopo 7 anni arrivano le condanne

di Giuseppe Salerno
07/06/2024

Il collegio giudicante del Tribunale di Patti, composto dal presidente Andrea La Spada, a latere Marialuisa Gullino e Gianluca Corona, ha condannato alla pena di tre anni di reclusione, 2 mila euro di multa con l’interdizione per cinque anni dai pubblici uffici, Mauro Abbadessa, 40enne di Capo d’Orlando, a due anni e sei mesi di reclusione e 1500 euro di multa, Salvino Messina, 44enne, anch’egli orlandino, e a due anni e mille euro di multa per Daniele Galano, 44 anni originario della Puglia ma domiciliato a Torrenova, imputati di sfruttamento della prostituzione.

Dopo sette anni arriva per i tre imputati la condanna in primo grado, che prevede il pagamento delle spese processuali, scaturita dall’operazione “Lady Hairon”. Nella notte di giovedì 6 aprile del 2017, a Sant’Agata di Militello e Foggia, i Carabinieri della Compagnia di Sant’Agata di Militello in collaborazione con i colleghi pugliesi, arrestavano due persone in esecuzione ordinanza di applicazione di misura cautelare personale emessa dal Gip presso il Tribunale di Patti, su richiesta della procura della Repubblica, per il reato di associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento e allo sfruttamento della prostituzione.

I Carabinieri, dopo articolate attività d’indagine, ricostruivano e documentavano l’esistenza di una strutturata e ben coordinata consorteria criminale dedita allo sfruttamento e al favoreggiamento della prostituzione. I capi dell’organizzazione, tratti in arresto dall’Arma, avevano registrato come associazioni culturali senza scopo di lucro, attività commerciali destinate ad essere adibite a night club, nei quali, con intimidazioni, minacce e violenze, costringevano le ragazze a prostituirsi.

Gli indagati, dietro la copertura di una fittizia associazione denominata “Lady Hairon” finalizzata a promuovere “l’organizzazione di manifestazioni e incontri con lo scopo precipuo di migliorare le comunicazioni sociali in modo libero e nell’assoluto rispetto della sensibilità altrui” gestivano, di fatto, nel centro di Capo d’Orlando un vero e proprio locale notturno all’interno del quale venivano consumati rapporti sessuali a pagamento tra le ragazze, reclutate dagli indagati ed usate come oggetto, ed i clienti. Le donne, formalmente registrate come socie dell’associazione privata, di fatto erano vere e proprie lavoratrici retribuite con importo fisso giornaliero e, in base agli accordi raggiunti, con quota a percentuale sulle prestazioni extra, consistenti dal semplice intrattenimento del cliente con consumazione di bevande ai servizi sessuali richiesti, che i gestori concordavano con i clienti. I rapporti sessuali venivano consumati nei privé allestiti all’interno del locale notturno oppure all’esterno, previo pagamento ai profittatori della tariffa pattuita. Gli arrestati, insieme all’atto sessuale, potevano procurare, a chi lo richiedesse, anche sostanza stupefacente dietro pagamento di un surplus sul servizio offerto.

Le indagini prendevano le mosse dai controlli eseguiti dai carabinieri, che accertavano difformità tra l’oggetto sociale delle associazioni “promuovere il tempo libero attraverso l’attuazione di iniziative e lo svolgimento di iniziative di natura culturale, ludica e ricreativa”, e le pubblicità presenti in rete. Sui social immagini dai contenuti espliciti, richiami sessuali ed erotici con fotografie di donne svestite in atteggiamenti decisamente provocanti. Le investigazioni svolte dai militari, supportate da attività di intercettazione, consentivano di acquisire elementi probanti a carico degli indagati. Nel corso delle attività, infatti, emergevano chiare ed inconfutabili prove che documentavano le condotte poste in essere dagli indagati, gravi episodi delittuosi ed il fine assolutamente criminoso della consorteria criminale costituita.

L’autorità giudiziaria concordava con le risultanze investigative dei Carabinieri, portando in evidenza episodi di particolare crudeltà, violenza ed aggressività usata dagli indagati nei confronti di alcune ragazze. Le vessazioni inflitte dagli aguzzini erano finalizzate a costringere le donne a prostituirsi, creando nei loro confronti un stato di perenne intimidazione e soggezione, che le induceva a non ribellarsi al volere dei “protettori” per paura di ritorsioni. Le giovani, infatti, venivano sottoposte a stringente controllo anche fuori degli orari di lavoro, limitazioni della libertà personale, violenze fisiche e psicologiche, fino al sequestro dei documenti di riconoscimento per impedire la fuga.

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