Caronia, caso Viviana: quando finiscono le ipotesi iniziano le minchiate

di Giuseppe Salerno
19/08/2020

Il caso della sparizione di Viviana Parisi, la donna di 43 anni di Venetico trovata morta sabato 8 agosto nelle campagne nei dintorni di Caronia e del piccolo Gioele Mondello, il figlio di 4 anni, del quale ancora oggi non si hanno notizie, tiene con il fiato sospeso milioni di persone che s’interrogano sull’incomprensibile gesto compiuto dalla donna la quale, dopo un lieve l’incidente stradale sull’autostrada Messsina-Palermo, agitata e impaurita, abbandona la propria autovettura nei pressi della galleria Pizzo Turda, e si allontana dall’A20  facendo perdere le proprie tracce.

A distanza di poche ore viene attivato il protocollo per la ricerca delle persone scomparse ed inizia la ricerca da parte degli agenti della Polizia e degli uomini a disposizione dei Distaccamenti Vigili del Fuoco di Santo Stefano di Camastra e Sant’Agata di Militello che perlustrano l’area indicata da qualche testimone, ma senza alcun risultato. Le ricerche vengono intensificate e sul caso, a distanza di poco, la Procura di Patti guidata dal procuratore Angelo Cavallo, apre un’inchiesta:  un tecnicismo che consente di avere maggiore margini di manovra nelle indagini, tant’è che al momento dell’avvio del procedimento non ci sono indagati, perché il fascicolo è a carico di ignoti.  Al caso inizia ad interessarsi la stampa nazionale e le ricerche vengono rafforzate con l’impiego di altri uomini, mezzi e unità cinofile, prima dei vigili del fuoco, poi della polizia.

Viene perlustrata l’area prospiciente all’autostrada a cominciare dal punto in cui testimoni avevano visto allontanare Viviana. Vengono ispezionati pozzi e scandagliati i fondali di laghetti presenti sul territorio senza alcun esito. Comincia a prendere piede l’idea che la donna ed il proprio figlio non fossero in quelle campagne tanto che lo stesso procuratore della procura della Repubblica di Patti in un’intervista rilasciata  al quotidiano “La Stampa” definisce “remota” la possibilità che le due persone scomparse possano essere morte ed inizia a prendere consistenza l’ipotesi  che la DJ e il bambino siano stati caricati a bordo di qualche mezzo, da qualcuno che conosceva o da qualcuno che non conosceva, e portati via. Proprio quando cominciava a tramontare l’ipotesi che Viviana e il suo bambino fossero nelle campagne di Caronia, nel primissimo pomeriggio di sabato 8 agosto il macabro ritrovamento del cadavere di Viviana alla base di un traliccio dell’alta tensione. L’area viene immediatamente posta sotto sequestro e sul territorio circostante intensificate, con più dinamicità, le ricerche del piccolo Gioele. “Se Viviana è stata ritrovata qui il bambino non può essere troppo lontano” – pensavano diversi investigatori.

Da quel giorno le ricerche del bambino hanno ulteriormente preso vigore e su un’area di oltre 500 ettari, vigili del fuoco, polizia, carabinieri, guardia di finanza, protezione civile, con l’ausilio di cani molecolari e droni, hanno faticosamente cercato senza mai perdere le speranze di ritrovarlo. Tanto più dopo le dichiarazioni rese alle autorità di un imprenditore lombardo che aveva passato le vacanze in Sicilia, assieme alla moglie e ai due figli, il quale ha raccontato di aver visto Viviana lasciare l’autostrada ed incamminarsi verso la radura. L’uomo dichiara ai magistrati di aver provato a seguire la donna, con il bimbo in braccio ed in buono stato di salute, lungo il sentiero impervio, chiedendole se avesse bisogno di aiuto e di aver desistito al rifiuto della stessa e per le difficoltà che ha trovato nel muoversi nella campagna.  “La donna – riferisce l’uomo – sembrava essere in fuga”

Da chi o da cosa è l’interrogativo al quale stanno provando a rispondere da più di due settimane gli inquirenti. Dal giorno del ritrovamento del corpo di Viviana, su cui dall’esame autoptico si sa ancora troppo poco, le ipotesi al vaglio della Procura sono molte.  Quel che è stato reso noto è solamente il fatto che i traumi riportati dalla donna sarebbero compatibili con una caduta dall’alto e che alcuni segni sono compatibili con l’aggressione di animali selvatici o cani di grossa taglia. Il procuratore Angelo Cavallo non trascura ed esclude alcuna ipotesi plausibile. Molti giornali, invece, vanno otre il plausibile non perdendo occasione, partendo da un fatto di cronaca nera, per infangare in territorio nebroideo caratterizzato da paesaggi naturali, dalla dissimmetria dei vari versanti, dalla diversità di modellazione dei rilievi, dalla ricchissima vegetazione e dalla gente sempre cordiale, sorridente e ospitale, facendo inopportuni accostamenti.

Giustapponendo a Nebrodi la parola mafia, tirando in ballo la “Mafia dei Pascoli” e i tortoriciani, macchiando e “mascariando” un intero territorio. Nebrodi e mafia: un binomio perfetto che calato nel giallo attrae, seduce, appassiona il pubblico di lettori che, immedesimandosi, diventa all’istante investigatore-protagonista. La parola mafia tiene alta l’attenzione della gente che coinvolta inizia anch’essa a seguire con più attenzione, comincia a formulare supposizioni, a mettere in piedi congetture e a valutare ipotesi. Tutte. Anche le più disparate. Molti in casa con i familiari, al bar e per strada con gli amici parlano, fanno scuola poichè pensano di avere ormai in mano tutti gli elementi della vicenda, di sapere ciò che c’è da sapere di ciascun protagonista, di ciascun personaggio coinvolto, siano essi criminali o vittime, e, rimettendo in ordine gli elementi sparpagliati del puzzle, danno dimostrazioni di come siano arrivati alla risoluzione del caso molto tempo prima dell’Autorità giudiziaria.

La fantasia di alcuni giornalisti va ben oltre la razionalità. Fanno informazione curando l’audience, trascinando la gente in scenari paradossali e assurdi mettendo dentro ad una tragedia familiare, con consapevole e responsabile deliberazione, la parola mafia che, contestualizzata, crea tensione, paura, genera ipotesi di assassinii misteriosi con colpi di scena tipici dei gialli di Alfred Hitchcock. “Se Viviana Parisi fosse l’amante di un boss latitante della Mafia siciliana, si spiegherebbe il motivo per il quale, ha lasciato il cellulare a casa senza portarlo con sé – scrive una testata giornalistica. La fascia costiera tirrenica è infestata dalle famiglie più potenti della mafia siciliana, come i Mistretta. E’ plausibile – continuiamo a leggere su un giornale online – che la giovane dj donna si fosse invaghita di un boss mafioso, forse conosciuto in un night club della zona, magari un amico del marito Daniele Mondello. Una relazione segreta che Viviana Parisi avrebbe deciso di troncare, ma inaspettatamente la reazione del boss è stata violenta poi feroce fino al punto di assassinarla. Tutto lascia pensare, che la crisi mistica della donna, quella comparsa nel corso del lockdown, nascondeva uno stato confusionale indotto a livello psicologico ed emotivo,  per difendere se stessa da una situazione difficile, traumatica e sopratutto pericolosa per il piccolo Gioele.”

In un momento tragico per la famiglia profondamente addolorata, difficile per la magistratura che segue le indagini, faticoso per chi, tutti i giorni, partecipa alle ricerche, complicato per noi giornalisti che cerchiamo di fare del nostro meglio per tenere con costanza e serietà informata la gente che segue con apprensione il caso, analisi e accostamenti penosi come questi, non possono essere tollerate, né tantomeno considerate ipotesi, ma “pussenti” ed inopportune minchiate.

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