Globalizzazione e omologazione: uomini numeri

di Giuseppe Salerno
04/09/2017

La società contemporanea tende sempre più a porre in secondo piano la centralità della persona e il suo valore, per ridurla a nient’altro che un numero, un dato statistico, un elemento quantificabile e perfettamente intercambiabile. Uomini e  donne vengono privati dalla propria unicità, svuotati dalla loro profonda dimensione di esseri umani. Vivono con rassegnazione il processo globale che tende a standardizzare sgretolando le identità, incasellando gli individui in un sistema di statistiche. La parola d’ordine mondiale è “globalizzazione”: finanza, mercati, società, cultura. Tutto è globale, anche le persone e, quindi, tutto deve essere omologato.

Abbiamo passato una vita (e altri prima di noi) a non dimenticare, a difendere le nostre tradizioni, i nostri retaggi culturali, le nostre peculiarità in tutti gli aspetti dell’esistenza, per assistere ad un processo studiato per ricondurre ogni scelta ed ogni azione a una valutazione meramente quantitativa, perdendo di vista la ricchezza impagabile che scaturisce dall’autenticità dell’essere. In questa prospettiva utilitaristica, di fronte all’imperio dei numeri, le motivazioni che orientano l’agire degli individui, diventano irrilevanti. La stessa cosa vale per i nostri prodotti d’eccellenza in favore di brutte copie industrializzate che chiunque, in tutto il mondo, può vendere. A chi interessa se i pistacchi di Bronte sono unici e particolari; che il limone seccagno di Pettineo conserva una particolare fragranza e serbevolezza con caratteristiche organolettiche superiori a quelle di altra provenienza;  che il pomodoro di Pachino è ricchissimo di vitamine, nutriente e benefico per la salute; che le cipolle rosse di Tropea sono straordinarie, uniche per le proprietà benefiche date dall’alto contenuto di ferro e vitamine e contrastano i radicali liberi, abbassano i livelli di colesterolo cattivo nel sangue.

L’importante, oggi, è che i piselli abbiano un diametro standard, che le zucchine e le banane presentino una curvatura adeguata e che i cetrioli non superino una certa lunghezza. Omologazione, insomma. La cosa preoccupante, tornando alla considerazione iniziale, è che questo ‘modello’ è stato trasferito pari pari sull’uomo. Chi è genitore, nonno insegnante, educatore sa bene quanto tempo, fatica, impegno, amore è stato dedicato ai propri ragazzi per far capire loro che non tutti sono geni in matematica, non tutti nascono eccellenti calciatori, bravi musicisti, non tutti sanno costruire una casa, ma che tuttavia chi non lo sa fare non è inferiore, perché ha altri talenti pronti per essere espressi. C’è diversità tra uomo e uomo, diversità di doni, attitudini, capacità, carattere, sentimenti, ruolo… La tanto rivendicata omologazione non può esistere, non deve esistere perché, fortunatamente, ognuno di noi è un’entità unica. Siamo esseri umani con la nostra identità di padri e madri, figli e figlie, mogli e mariti, maschi e femmine. Poi diventiamo avvocati, agricoltori, architetti, calciatori, atei, credenti, comunisti, democristiani, …

Poteri, non tanto oscuri, stanno cercando d’impedire all’uomo di pensare, di avere un’opinione e addirittura di esprimerla. L’omologazione del pensiero significa, in ultima analisi, non avere un pensiero, non poter esprimere un pensiero, altrimenti, se è diverso da quello in voga, si è per forza …fobi di qualcosa. Si è perso di vista l’uomo, nella sua interezza, complessità, grandezza, ma anche fragilità e debolezza. Sono proprio le caratterizzazioni di genere che interessano all’uomo e che premono per essere affermate e difese, mentre la corsa all’omologazione, pilotata forse da potenti gruppi di interesse, dalle lobby, dal “sistema”, tende, in modo strisciante, ad annullare queste differenze.

 

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