Prevenzione incendi, l’occhio del satellite come possibile soluzione

La Sicilia continua a bruciare: riserve, parchi, boschi e terreni privati in prossimità delle città divorati da incendi appiccati da mani criminali. Effetti di un fenomeno che si ripete da anni quasi ad intermittenza programmata e con dinamiche tanto accuratamente congegnate da far riflettere sulle cause e sugli effetti di un fenomeno così scellerato.

Quello al quale abbiamo assistito nello scorso fine settimana è uno spettacolo orrendo e spaventoso. Da Altofonte allo Zingaro, da Termini Imerese a Selinunte, da Pettineo a Piraino la Sicilia brucia per mano di criminali incendiari con la tendenza compulsiva e patologica ad appiccare fuochi con conseguenze che mettono in pericolo intere comunità, la vita dei soccorritori, oltre che delle aree boschive coinvolte negli incendi nei quali muoiono animali e piante, per non parlare delle vie di comunicazione esposte a un più alto rischio di erosione e caduta massi.

Quando brucia il fogliame e lo strato superiore di humus, infatti, le pietre destabilizzate cominciano a rotolare. Effetti ancora più gravi si manifestano dopo l’incendio: lo strato di cenere depositato dal fuoco è impermeabile, per cui nei primi 1–2 anni dopo l’incendio l’acqua piovana stenta a penetrare nel suolo, defluendo al contrario in superficie. In questo modo, in particolare in caso di forti piogge, si verificano fenomeni erosivi. In caso di piogge prolungate ciò può addirittura provocare colate detritiche.

Ma in concreto quante sono le iniziative messe in campo per contrastare i roghi ed evitare tutto ciò? Poche, molto poche. E dire che la soluzione tecnologica ci sarebbe pure per stroncare gli incendi appiccati dai piromani prima che facciano danni ingenti, come quelli che sono stati registrati ieri, ma anche oggi in un’area boschiva nei pressi di Mistretta. Il punto è che – ma non si capisce il motivo – viene ignorata.

Un’azienda palermitana, la Ciodue di Carini, lo scorso anno ha acquisito il brevetto di una società tedesca (la Iq Wireless di Berlino) che ha creato un sensore in grado di prevenire i roghi sfruttando la tecnologia usata nelle sonde spaziali che studiano le comete. Non solo: grazie al Gps, il sensore riesce ad individuare anche la posizione di chi appicca il fuoco. Questo sistema si chiama FireWatch e permette d’intercettare il fumo prim’ancora che si sviluppi l’incendio.

Non è fantascienza. Il sistema è già stato adottato in 13 diverse nazioni come ad esempio Spagna, Portogallo e recentemente Canada, con ottimi risultati. FireWatch riesce a rilevare il fumo nel giro di 3-4 minuti – anche laddove non è visibile all’occhio umano – in un raggio di 700 chilometri quadrati, con una gittata minima di 15 chilometri (fino a 60 in condizioni climatiche ottimali). Il rilevamento dell’insorgere – così viene definito tecnicamente – consente un intervento tempestivo sul luogo e la possibilità di spegnere l’incendio prima che si propaghi. Questo perché, oltre a rilevare il fumo, il sistema individua anche la posizione Gps.

L’impianto antincendio viene montato su normali torri di avvistamento: i segnali provenienti dai sensori, che scandagliano il territorio, vengono inviati ad una sala di controllo. “Un sistema innovativo che non sostituisce il lavoro dell’uomo, ma lo valorizza e lo rende più efficace” – come spiega Mariano Equizzi, responsabile sviluppo e relazioni internazionali della Ciodue, in un’intervista rilasciata al collega Daniele Ditta per PalermoToday.

La diffusione di FireWatch passerebbe dagli enti pubblici responsabili della salvaguardia del territorio utilizzando le risorse a fondo perduto del Psr per finanziare gli investimenti. Germania, Spagna e Portogallo hanno fatto così. Ma qual è il costo per radicare sul territorio FireWatch?Potendo contare su una torre di vedetta agibile – risponde Mariano Equizzi – servirebbero circa 150mila euro a unità”. Se pensiamo che un elicottero costa 5 mila euro all’ora e un canadair costa 15mila euro all’ora, basta poco per capire che la sostenibilità economica c’è.

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Pubblicato da
Giuseppe Salerno