Attentato ad Antoci, Di Matteo: “Mafia ricorre a violenza quando persiste un problema”

di Carla Lopes
03/11/2018

“La mafia se c’è un problema, se il problema persiste ricorre alla violenza ed è in questo ambito che va inquadrato l’agguato al Presidente del Parco dei Nebrodi Antoci”. A parlare è il sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo, dopo l’esclusiva del TG1, che ha mostrato la ricostruzione tridimensionale dell’attentato a Giuseppe Antoci, ex Presidente del Parco dei Nebrodi.

Per Di Matteo la ritorsione delle famiglie mafiose è una chiara reazione al lavoro svolto da Antoci sul contrasto alle Agromafie volto a bloccare, attraverso il Protocollo di Legalità divenuto legge dello Stato, l’elargizione di Fondi Europei per l’agricoltura finiti nelle mani dei mafiosi. “Le migliori leggi – continua Di Matteo – e questa è senz’altro una legge buona, hanno poi bisogno quotidianamente di vivere nell’applicazione reale”.

A a TV7, la rubrica di approfondimento di Rai Un, è stata mostrata la ricostruzione tridimensionale della Polizia Scientifica di Roma è stata effettuata utilizzando una tecnica usata per la prima volta in Italia per ricostruire l’attentato al Presidente Antoci ma anche per quello di via D’Amelio, ove persero la vita il Giudice Borsellino e gli uomini della sua scorta. Un chiaro palese passaggio nella rubrica del TG1, che ne mostra le dichiarazioni, viene dedicato alla vicenda del sindaco che, con le sue preoccupazioni, spinse il Vice Questore Daniele Manganaro ad anticipare la partenza da Cesaró e a cercare di raggiungere il Presidente Antoci, che intanto era già partito alla volta di casa. Grazie dunque al primo cittadino di Cesaró che, di fatto, Antoci e la sua scorta restano vivi. Se lo stesso avesse evidenziato le sue paure a Manganaro anche dieci minuti dopo, l’agguato sarebbe andato a buon fine e la Sicilia avrebbe raccontato un’altra strage di mafia.

Immagini agghiaccianti quelle riviste su TV7 e una ricostruzione dettagliata degli avvenimenti che non lascia alcun dubbio sull’accaduto e sulla ricostruzione dell’attentato ma che lascia, invece, l’amaro in bocca quando si parla di “mascariamento” e di “macchina del fango”. È chiaro il riferimento a chi in questi due anni ha tentato di delegittimare ed infangare nella migliore tradizione di una terra, come diceva Falcone, nella quale “per essere credibili bisogna finire ammazzati”.

E mentre l’applicazione del Protocollo di Legalità, diventato Legge grazie al suo recepimento nel Nuovo Codice Antimafia, sta dando i suoi frutti ormai in tutta Italia, si rimane in attesa, come dichiarato da Antoci, di vedere nei “prossimi giorni i primi rinvii a giudizio per chi ha depistato ed infangato”. A tal proposito si ha già contezza di richieste di rinvio a giudizio presentate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Messina che a giorni dovrebbero portare a processo i primi “soliti operatori” della più che conosciuta macchina del fango che aveva tentato di diffamare l’operato di Antoci, il tutto regolarmente rimandato al mittente dalla Magistratura messinese. Appare però chiaro che quanto fatto sui Nebrodi da Antoci e dalla squadra dei “Vegetariani” del Commissariato di Polizia di Sant’Agata di Militello, con in testa il Vice Questore Manganaro, Rino Todaro e Tiziano Granata (recentemente scomparsi), non può rimanere il ricordo di un passato bensì deve rappresentate quel valore aggiunto per dare continuità ad un lavoro svolto a tutela della dignità di un territorio e al suo sviluppo nel segno della Legalità. Lo Stato saprà e dovrà dare continuità a tutto questo.

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