L’etichetta muta del pesce: ecco cosa fare

di Lorena Ricciardello
09/12/2016

La vendita al dettaglio del pesce fresco è in Italia spesso accompagnata da irregolarità nell’etichettatura e dalla mancanza di informazioni che potrebbero aiutare i consumatori a compiere scelte sostenibili. A rivelarlo è il rapporto “Muta come un pesce”, pubblicato da Greenpeace Italia, in cui sono state analizzate le informazioni indicate su 600 etichette, esposte sui banchi del pesce fresco di più di 100 rivenditori italiani, suddivisi tra supermercati, pescherie e mercati rionali.
L’indagine a campione, effettuata da Greenpeace in tredici regioni, tra cui la Sicilia, fotografa una situazione davvero preoccupante: quasi l’80 per cento delle etichette esaminate non rispetta infatti appieno il regolamento europeo in vigore ormai da oltre due anni.
Secondo le normative di settore, entrate in vigore alla fine del 2014, nelle etichette del pesce esposto al pubblico, è obbligatoria la presenza di informazioni come l’attrezzo di pesca utilizzato, l’esatta denominazione della zona o sottozona di cattura FAO, il nome scientifico e commerciale della specie e il metodo di produzione (pescato, allevato o pescato in acque dolci).
Il Regolamento impone che l’etichettatura dei prodotti alimentari sia chiara, comprensibile e leggibile, per garantire al consumatore la sicurezza, la trasparenza, e soprattutto la possibilità che egli possa fare scelte consapevoli secondo il proprio stile di vita.
Fornire informazioni precise sull’origine del pesce venduto, sapere che pesce stiamo acquistando, dove e come è stato catturato, non è solo un obbligo del rivenditore ma è anche un diritto del consumatore. Secondo l’indagine di Greenpeace gli italiani sono i consumatori più attenti: il 77 per cento dei consumatori italiani riconosce infatti l’importanza di acquistare prodotti pescati con metodi di cattura che hanno un basso impatto sull’ambiente ed è disposto a pagare di più̀ per avere queste garanzie. Il 76 per cento degli italiani intervistati ritiene le nuove informazioni previste nell’etichetta del pesce fondamentali per fare una scelta sostenibile.
Andando nello specifico, nelle etichette del pesce fresco, non pre-imballato e venduto al dettaglio, oltre alla già prevista indicazione del nome commerciale, del metodo di produzione (pescato, pescato in acque dolci, allevato) e dell’eventuale scongelamento, devono essere indicate secondo la nuova normativa le seguenti informazioni obbligatorie:
• il nome scientifico della specie venduta;
• l’indicazione dell’attrezzo di pesca: è obbligatorio specificare l’attrezzo con cui è stato pescato il pesce o perlomeno della categoria a cui appartiene l’attrezzo di pesca utilizzato al momento della cattura. Per la vendita al dettaglio, questa informazione può essere fornita anche tramite cartelloni e poster esplicativi, purché ben visibili e comprensibili al consumatore;
• la denominazione precisa della zona di cattura: solo per il pesce catturato nel Mar Mediterraneo e nel Mar Nero (FAO 37) e nell’Atlantico nord-orientale (FAO 27) è obbligatorio indicare la denominazione scritta della zona e della sotto-zona di pesca, espresse in termini comprensibili per il consumatore.
Infine la normativa prevede anche la possibilità̀ di fornire ai consumatori una serie di informazioni supplementari facoltative in aggiunta a quelle obbligatorie, come ad esempio la data di cattura dei prodotti della pesca, il porto e la data dello sbarco, informazioni più dettagliate sul tipo di attrezzi da pesca utilizzati, informazioni di tipo ambientale, etico o sociale, informazioni sul contenuto nutrizionale del prodotto e sulle tecniche di produzione.
In Sicilia Greenpeace ha monitorato alcune attività commerciali di Campofelice di Roccella (PA), Carini (PA), Catania, Custonacci (TP), Gravina di Catania (CT), Lampedusa (AG), Monreale (PA), Palermo e Santa Croce Camerina (RG).

I risultati dello studio hanno evidenziato che solo il 21,4% delle etichette è risultato conforme alla normativa, mentre nel restante 78,6 per cento dei casi si sono riscontrate delle irregolarità, quali la totale assenza di informazioni obbligatorie o errori nell’indicazione delle stesse. Tante le irregolarità anche nell’indicazione esatta e comprensibile della zona di cattura, che risulta conforme alla normativa solo nel 33,4 per cento dei casi. Nel 55,6 per cento dei casi l’informazione è presente ma non è stata indicata in modo corretto e comprensibile per il consumatore, (irregolarità evidenziabili soprattutto nella denominazione specifica e comprensibile della sotto-zona di pesca o divisione FAO dei prodotti ittici provenienti dal Mar Mediterraneo, dal Mar Nero e dall’Atlantico nord-orientale). Nell’11 per cento dei casi l’indicazione della zona di cattura è del tutto assente. L’indicazione del nome scientifico è assente nel 34,1 per cento delle etichette analizzate. Il metodo di produzione è assente nel 16,7 per cento dei casi. L’unico dato presente in quasi tutte le etichette è il nome commerciale, assente solo nello 0,3 per cento dei casi. Rarissimi i casi in cui abbiamo trovato informazioni supplementari facoltative, presenti solo nell’1 per cento dei casi. Totalmente assenti invece informazioni per la promozione e valorizzazione dei prodotti ittici provenienti da una pesca artigianale e a basso impatto ambientale, a dimostrazione del fatto che è ancora lunga la strada da fare per la promozione della sostenibilità̀ dei prodotti della pesca e più̀ in generale del consumo di pesce.

Se anche noi facciamo un giro per le pescherie dei Nebrodi, non sarà difficile notare che quanto accertato da Greenpeace è veritiero. A questo possiamo aggiungere che le violazioni non riguardano solo l’etichetta ma anche un altro obbligo che incombe sulle pescherie: l’esposizione sui banchi pescherie di un cartello che invita a congelare per 96 ore il pesce e i molluschi (polpi, calamari) prima di consumarli crudi. Lo scopo è di limitare ulteriormente il rischio di anisakidosi, una patologia che può colpire chi consuma prodotti ittici crudi o poco cotti, contaminati da larve di Anisakis, un parassita sempre più diffuso nel Mediterraneo, ma di questo ne parleremo in un altro articolo.
Di certo queste diffuse irregolarità sono indicative di una preoccupante carenza dei controlli da parte delle autorità competenti. A farne le spese sono purtroppo i consumatori, cui viene negato il diritto all’informazione e alla trasparenza.

NutrIntegra

lorenaricciardello@gmail.com

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