Antiracket, imprenditore Mammana: “Denunciare è la via più conveniente”

di Giuseppe Salerno
01/12/2021

E’ intervenuto, con la propria testimonianza, anche l’imprenditore di Castel di Lucio Michelangelo Mammana all’importante convegno dal tema “Antiracket, memoria e riscatto”, organizzato da “Sos Impresa – Rete per la Legalità”, a Canicattì.

Un incontro che ha visto la partecipazione di numerose personalità in rappresentanza delle Istituzioni, tra cui il Prefetto Giovanna Cagliostro, Commissario Straordinario del governo per il Coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura, Rita Cocciufa, Prefetto di Agrigento ed il Generale Rosario Castello, Comandante della Legione Carabinieri Sicilia.

Dopo la visita istituzionale e l’omaggio floreale alle cappelle cimiteriali dei Giudici, Beato Rosario Angelo Livatino e Antonino Saetta, accanto al quale riposa anche il figlio Stefano e la visita alla “Casa della Memoria” del Beato Rosario Angelo Livatino, dove è stato sottoscritto del protocollo di collaborazione tra “Sos Impresa – Rete per la Legalità”, Centro Studi TEMI e l’Associazione “Casa Giudice Livatino”, presso il Teatro Sociale comunale di Canicattì, c’è stato l’incontro con gli studenti delle scuole locali e la comunità.

Nell’ambito dei lavori, moderati da Giuseppe Scandurra, vice presidente nazionale di Sos Impresa – Rete per la Legalità, l’imprenditore Michelangelo Mammana ha raccontato la propria esperienza di vittima del racket vissuta sulla propria pelle. “Con la crescita di un’azienda – ha spiegato Mammana – come ad esempio è successo nel mio caso, insieme all’aumento del volume di affari, è inevitabile, per un imprenditore, imbattersi in soggetti che coordinano attività criminali volte ad ottenere il pagamento periodico di una certa somma in cambio dell’offerta di “protezione”.

“Di fronte alla minaccia  – spiega l’imprenditore castelluccese – occorre uscire dall’isolamento: ogni tentativo di estorsione va subito combattuto, segnalandolo alle associazioni antiracket, alle associazioni di categoria, ecc. e denunciandolo alle forze dell’ordine. La denuncia è la via più conveniente: oggi esiste una vasta e solida rete di sostegno, nelle istituzioni (forze dell’ordine, magistratura, enti locali, ecc.) e nella società civile (associazioni antiracket, associazioni di categoria, ecc.), che affianca chi denuncia il racket permettendogli di riprendere, o di continuare, la propria attività in piena sicurezza dopo essere stato integralmente risarcito dei danni subiti. Quando si cominciano lavori in posti nuovi – conclude Mammana – bisogna andare a presentarsi presso la locale stazione dei carabinieri, comunicando loro la propria presenza sul territorio, e non certo al “reggente” di turno della malavita in cerca di “protezione”.

Da quel che risulta dai fascicoli di diverse inchieste, portate avanti da altrettanti Procure isolane, l’imprenditore Mammana oltre ad essere stato vittima di estorsioni da parte di alcuni esponenti della famiglia mafiosa di San Mauro Castelverde, come ad esempio nell’inchiesta “Alastra”, in cui lo stesso nel processo penale risulta tra le parti civili, era entrato nel mirino della malavita locale. Il suo nome infatti, in disegni criminosi in cui lo vedevano vittima di propositi estorsivi, si legge tra le carte dell’indagine “Black Cat”, l’ultimo grande filone d’inchiesta sulla mafia madonita avviato nel 2016 che ha mandato alla sbarra 54 imputati e nell’inchiesta Nebrodi, che nel 2020 ha portato all’arresto di 94 persone accusate di truffa ai danni dell’Ue.

Nel marzo del 2012, la ditta Mammana aveva subito due attentati incendiari, a danno di altrettanti pale meccaniche di proprietà dell’impresa. L’incendio, appiccato ai due escavatori, tenne con il fiato sospeso i lavoratori dell’Azienda che avvertirono la seria minaccia per la propria occupazione. L’impresa Mammana però non chiuse. Michelangelo – il titolare – nonostante tutto non molla, decise di non lasciarsi intimorire e andò avanti esportando la sua attività d’impresa al di là dei confini della Sicilia.

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