Capo d’Orlando, ancora guai per l’Upea: sotto accusa nell’operazione Agrumi d’oro

di Turi Milano
11/02/2017

Un giro di fatture false per un totale di 67 milioni che sarebbero state emesse in un periodo che va dal 2011 al 2015 per una compravendita di prodotti agricoli come limoni che in realtà non sarebbero mai stati né prodotti e dunque venduti. E’ quanto hanno scoperto i finanzieri del nucleo di polizia tributaria di Messina nell’ambito di quella che è stata ribattezzata operazione “Agrumi d’oro” che ha permesso di scoprire un complesso sistema di frode ai danni dell’Unione Europea messo in atto utilizzando il consorzio Agridea di Capo d’Orlando (Me), operante nel settore della lavorazione della frutta.

I militari del Nucleo di polizia tributaria hanno, complessivamente, denunciato alla Procura della Repubblica di Patti cinque persone in concorso, per le ipotesi di truffa aggravata ai danni dello Stato, reato che prevede la reclusione fino a sei anni e per le violazioni penali tributarie previste dagli artt. 2 e 8 del d. lgs. 74/2000, per emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, segnalando, altresì, la responsabilità amministrativa del consorzio Agridea, ai sensi del d. lgs. n. 231 del 2001.

Sulla base di tali elementi la Procura della Repubblica di Patti, ha chiesto e ottenuto dal G.I.P. del Tribunale di Patti, il sequestro preventivo per equivalente dei beni mobili e immobili di proprietà del consorzio Agridea e del suo rappresentante legale, G.S., residente a Capo d’Orlando, di anni 50, fino al controvalore dei contributi illegalmente percepiti, pari a circa un milione e novecentomila euro. La misura, eseguita dalle Fiamme Gialle nei giorni scorsi, ha riguardato disponibilità bancarie, partecipazioni azionarie e automezzi.

Secondo gli inquirenti, le fatture considerate fittizie venivano emesse in maniera “circolare” tra il predetto consorzio e altri due analoghi enti, consorzio P.A.C e consorzio U.P.E.A., anch’essi con sede nella città orlandina e facenti capo al medesimo gruppo societario, col preciso obiettivo di far lievitare, solo sulla carta, il volume della produzione di agrumi del consorzio Agridea al fine di consentire a quest’ultimo di acquisire le caratteristiche richieste dalla normativa vigente per poter accedere agli aiuti economici europei in agricoltura.

I finanzieri avrebbero, inoltre, accertato che le estese superfici dichiarate come coltivate ad agrumeto per ottenere i contributi e riconducibili al primo consorzio sarebbero sensibilmente inferiori al reale, circa il 62% in meno. Peraltro, sempre secondo i finanzieri, alcuni di questi terreni sarebbero risultati addirittura incolti o destinati a usi diversi da quelli agricoli. In aggiunta, gran parte degli agricoltori che il consorzio dichiarava come propri associati avrebbe negato l’esistenza con esso di rapporti di qualsiasi tipo.Nel corso dei controlli sarebbe emerso, inoltre, che alcuni macchinari per smistare i prodotti utili per la successiva commercializzazione ed in uso ai tre consorzi non erano mai entrati in funzione, sin dalla data del loro acquisto. Analogamente, le celle frigorifere sono risultate costantemente vuote durante l’intero periodo di effettuazione delle operazioni di verifica svolte nei confronti dei consorzi U.P.E.A. e P.A.C.

Infine, è stato individuato un ulteriore sistema illecito utilizzato per cercare di lucrare indebitamente i contributi pubblici, pari in totale a due milioni e mezzo di euro. Nel dettaglio, tra la documentazione prodotta per certificare alcune spese poi rimborsate con i finanziamenti europei sono stati rinvenuti numerosi assegni bancari, che invece gli investigatori ritengono abilmente falsificati.

Tale analitica ricostruzione è stata resa possibile grazie all’analisi incrociata tra la documentazione esibita presso gli uffici competenti per ottenere i contributi comunitari, attestante i pagamenti e l’insieme delle movimentazioni bancarie e contabili della società.

 

Particolarmente importante la circostanza che le indagini hanno impedito che il consorzio indagato ottenesse un’ulteriore quota di finanziamento pari a seicentomila euro, in quanto l’intervento dei finanzieri ha consentito di bloccare i fondi per tempo, prima della loro erogazione.

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