“Concussio”, Lo Re respinge accuse: “Non ho chiesto il pizzo a nessuno”

di Giuseppe Salerno
07/12/2019

Giuseppe Lo Re, detto Pino, 56 anni, di Caronia, ritenuto dalla Magistratura un esponente del mandamento mafioso di San Mauro Castelverde, vicino alla famiglia mafiosa di Mistretta, detenuto presso la Casa Circondariale di Siracusa, in collegamento audio-video con l’aula A del Tribunale di Patti, nell’ambito della quinta udienza del processo “Concussio” in cui è accusato di “tentata estorsione in concorso aggravata dal metodo mafioso”, risponde alle domande del Pubblico Ministero e a quelle dell’avvocato che rappresenta la parte civile respingendo tutte le accuse a suo carico.

Lo Re, nell’udienza di giovedì 5 dicembre, da la sua versione dei fatti, afferma di aver conosciuto Tamburello in seguito ad una problematica che aveva avuto il fuoristrada che l’ex consigliere comunale di Mistretta aveva acquistato dal proprio fratello, dice che la prima volta che incontrò Rosario Fortunato e Barbara Scaffidi fu a casa propria dove i due erano stati accompagnati dalla zia, Isabella Di Bella che si era fatta avanti per fare da intermediaria tra il nipote e i titolari dell’impresa, al fine di risolvere la questione tra quest’ultimi e il Comune di Mistretta il quale, dopo il quinto ricorso presentato dell’Impresa Pegaso, faceva problemi – a detta dei titolari – per assegnare i lavori

“Venivano da una festa ed erano entrambi ubriachi. Io ero a casa che dormivo – dichiara Lo Re parlando dei coniugi che erano andati a trovarlo assieme alla zia – e dopo un pò li accompagnai alla porta infastidito. In quell’occasione dissi a mia zia di non portarmeli più davanti. Tempo dopo con Rosario Fortunato e Barbara Scaffidi ci rivediamo in un night club in cui io ero socio. Fu allora che, pressato anche dalla Di Bella, mi convinsi a fare la telefonata a Vincenzo Tamburello, che ricordavo rivestisse una qualche carica al Comune di Mistretta”.

Lo Re nel suo racconto ha lasciato intendere di aver contattato il Tamburello per togliersi dai piedi i due che continuamente lo infastidivano con la storia della gara truccata. Deposizione che contrasta con le affermazioni rese in aula, qualche mese fa da Rosario Fortunato il quale ha dichiarato che Pino Lo Re, in quella stessa occasione, come compenso per sistemare ogni cosa, chiese il pagamento di 50 mila euro, l’assunzione di tre soggetti e, per la fornitura di materiale cementizio, l’obbligo di rivolgersi alla ditta dei fratelli La Monica, di Caronia . Soldi – riferì allora il Fortunato al Collegio giudicante – che Lo Re gli disse dovevano essere “rimborsati” all’impresa A.T.I. Castrovinci, la quale aveva già provveduto a versare, sotto forma di pizzo, alla mafia, che s’impegnava a “proteggere” la ditta per tutta la durata dei lavori, a partire dal momento in cui si fosse definitivamente aggiudicata l’appalto.

Parte dei 50 mila euro – raccontò in aula il Fortunato – sarebbero serviti per il sostentamento del detenuto Pietro Rampulla, mafioso capomafia della Famiglia di Mistretta, all’ergastolo detenuto in regime di 41 bis, legato in particolare ai boss Nitto Santapaola e Giuseppe Farinella. “Per fare funzionare gli ingranaggi ci vuole l’olio” – avrebbe detto Pino Lo Re a Rosario Fortunato che lo racconta ai giudici. I 50 mila euro servono a sistemare la gara corrotta, l’importo verrà ripartito in tre parti: 30 mila per la signorina Maria Rampulla, sorella di Pietro, 10 mila euro al RUP e 10 mila al Presidente della commissione di gara, i due geometri del comune di Mistretta.

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