L’assoluzione di Tamburello: cosa ci insegna il caso Concussio

di Giuseppe Salerno
15/02/2020

Provate per un attimo a immaginare che qualcuno, di punto in bianco, vi accusi di aver commesso un reato. Un reato aggravato, oltretutto, dal metodo mafioso, rispetto al quale siete completamente estranei, di cui non sapete assolutamente nulla e, quindi, ne ignorate contesti, circostanze e dinamiche.

Immaginate che l’accusa nei vostri confronti, mossa dalla magistratura, sulla base di una denuncia presentata a vostro carico, sia stata costruita, creata ad arte, vi sia stata cucita addosso su misura. Cioè qualcuno, senza un vero e proprio motivo apparente, metta in piedi una storia, da film giallo, che abbraccia vari aspetti del crimine e della lotta allo stesso, ai limiti della credibilità, coinvolgendovi e facendovi diventare uno dei principali protagonisti. Una storia pensata per avere successo e fare audience, come un film di Francis Ford Coppola in cui, ovviamente, non può mancare il mafioso.

Immaginatevi la scena: voi siete tranquilli a casa vostra che dormite, alle 5 del mattino bussano alla porta i carabinieri e dopo avervi notificato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, vi strappano alla vostra famiglia e contro la vostra volontà vi portano via. Concentratevi ed immedesimatevi in questa storia fantasiosa. Che poi tanto fantasiosa non è. Immaginatela nella vostra mente e provate a percepire quanto sia immenso lo stato di malessere e sconforto che un essere umano possa provare. Quanto sia violento ed insanabile il trauma, lo shock, la violenza. Immaginatelo perché domattina, una cosa del genere, potrebbe capitare anche voi. Proprio così: potrebbe capitare a chiunque. Anche a voi.

Esattamente com’è capitata a Vincenzo Tamburello, il 42enne di Mistretta, ex consigliere comunale che, all’alba del 20 aprile del 2018, viene prelevato da casa propria, davanti alla moglie e alla figlia di 10 anni, tradotto al carcere di Gazzi, a Messina, e richiuso in una cella 2 metri per 3 insieme ad altri due soggetti sconosciuti. E se questo e successo a lui, che secondo gli elementi con i quali il Collegio giudicante del Tribunale di Patti ha stabilito che il soggetto fosse estraneo all’accusa mossa nei suoi confronti, assolvendolo per non aver commesso il fatto, non vedo il motivo perché domani non potrebbe capitare a ciascuno di noi. Va beh, direte, siamo ancora in primo grado. Giusto, ma il punto resta perché intanto Tamburello è stato assolto “per non aver commesso il fatto”.  Ovvero era estraneo a tutta la vicenda.

A determinare tutto ciò la denuncia dei titolari di un’impresa edile i quali hanno affermato che Tamburello, in concorso con Giuseppe Lo Re e Isabella di Bella avrebbe tentato di estorcere loro 50 mila euro chiedendo il pizzo sui lavori di restauro delle opere di “Fiumara D’Arte”. E’ bastata solo la denuncia, vi chiederete? A quanto pare si. Almeno questo emerge dal processo di primo grado, che prende il nome dallOperazione Concussio, in cui era imputato anche l’ex consigliere amastratino, la cui sentenza, arrivata nella tarda serata di mercoledì, lo assolve per non aver commesso il fatto.

In realtà le indagini, per accertare quanto denunciato dalla parte lesa, sono state fatte. Sono state disposte intercettazioni ambientali e telefoniche finalizzate ad acquisire elementi di prova idonei a perseguire il reato perpetrato dal Tamburello, ma le stesse prove – com’è emerso dal processo – invece di inchiodare l’ex consigliere lo hanno scagionato. In buona sostanza le prove del presunto reato commesso sono tornate utili all’accusato. Nel corso delle udienze, alle quali siamo sempre stati presenti e che abbiamo ampiamente e dettagliatamente documentato, sono emersi e provati numerosi fatti che dimostrano come l’ex consigliere comunale di Mistretta fosse totalmente estraneo ai fatti. L’unico elemento di prova, di cui disponeva l’accusa, a carico di Tamburello, era solo un rapporto di natura professionale (ed occasionale) che l’allora consigliere aveva con Giuseppe Lo Re, detto Pino, un tale di Caronia ritenuto dalla magistratura un elemento vicino al mandamento di San Mauro Castelverde e alla famiglia Mafiosa di Mistretta.

Poco come prova, molto poco: non lo diciamo noi, lo certifica la sentenza. A supporto del rapporto di confidenza tra Tamburello e Lo Re l’accusa ha prodotto un’intercettazione ambientale effettuata nello studio del commercialista. Un’intercettazione in cui i coniugi titolari dell’impresa, che in seguito accuseranno l’ex consigliere comunale di Mistretta di tentata estorsione, raccontano a Tamburello della richiesta avanzata loro dal RUP del Comune di Mistretta e del direttore dei lavori di falsificare lo stato di avanzamento dei lavori e della pretesa, da parte di Lo Re, delle 50 mila euro quale pizzo imposto per i lavori, dell’importo complessivo di circa un milione di euro. In quell’occasione – come risulta, agli atti, nella deposizione dell’amministratore unico dell’impresa, resa il 12 settembre 2019 “Tamburello relativamente alla proposta del tecnico comunale e dell’architetto, direttore ai lavori, mi disse di lasciar perdere, di non prendere in considerazione la proposta di falsificare il S.A.L.; per i 50mila euro, pretesi da Lo Re, “per oleare gli ingranaggi” il Tamburello mi rispose: “già si lampiau…ora ci penso io. Ci parlu io (riferendosi al RUP e al direttore dei lavori)” e mi consiglia di non fare e non dare niente a nessuno”.

Nella stessa circostanza Tamburello chiese ai titolari dell’impresa di assumere un giovane di Mistretta che aveva bisogno di lavorare e del quale avrebbe, in seguito, loro inviato tutti i dati. Entrambi i coniugi diedero piena disponibilità all’assunzione del giovane, ma solo quando sarebbero iniziati i lavori per il restauro delle opere di «Fiumara d’Arte». Certo, suona strano che un mafioso manda una mail, lasciando traccia e certificando un’estorsione, in cui scrive: “caro Fortunato, ti giro il numero di telefono di … per favore potresti chiamarlo per metterti d’accordo con lui per quando inizieranno i lavori?”

Nel resto delle intercettazioni non c’è nulla di rilevante a carico dell’ex consigliere. Non risulta che il Tamburello abbia mai contattato i presunti estorti, ma risulta il contrario, ossia che loro, i titolari dell’impresa, hanno diverse volte cercato e raggiunto a Mistretta l’ex consigliere. Uno dei rari casi al mondo in cui viene dimostrato (risulta agli atti) che le vittime cercano il proprio carnefice. Le affermazioni della moglie del titolare dell’impresa, intercettata in auto all’uscita dal Comando provinciale dei carabinieri di Messina, dove era stata convocata, il 3 ottobre 2015, e invitata insieme al marito a sottoscrivere la denuncia, sgombrano il campo da ogni dubbio. I coniugi in quell’occasione si rifiutano di presentare denuncia e in auto, durante il rientro a casa, in presenza del proprio avvocato, commentano:

Barbara Scaffidi: “…io denuncia no ne faccio… comu u mettu a Tamburellu ndò mezzu… carusi finimula… ama essiri obbiettivi”
Rosario Fortunato: “… chi dicisti…”
Barbara Scaffidi: “… si, Rosariu, comu u mettu a Tamburellu ndò mezzu… chiddu nun c’entra ”
Avvocato: “…ormai la situazione e tragica … (rivolgendosi a Rosario) sei bloccato in una situazione in cui rischi … possono anche andare avanti da soli (parlando dei carabinieri) e se vanno avanti da soli e peggio per noi. Quello che trovano, trovano”
Barbara Scaffidi: “… carusi, comu u mettu a Tamburellu ndò mezzu…?”
Avvocato: “… tu la querela la devi fare nei confronti di Tamburello. Stop. Tu devi fare così e basta”
Barbara Scaffidi: “…ehhh…”
Avvocato: “…tu devi fare così e basta… poi quello che vogliono fare fanno (riferendosi ai carabinieri) … tu non sai nient’altro…”

Il 23 gennaio 2016 i Carabinieri di Messina – come risulta dagli atti processuali – convocano nuovamente l’impresa invitandola, ancora una volta, a sporgere denuncia contro il consigliere comunale amastratino. Questa volta la ditta probabilmente convinta, dal proprio avvocato, formalizza l’atto contro Tamburello. Il 21 e 25 settembre 2017, riconvocati in caserma, i coniugi querelano anche Giuseppe Lo Re e Isabella Di Bella. Il 20 aprile 2018 scatta l’operazione condotta dai militari del Comando Provinciale Carabinieri di Messina che da esecuzione ad una ordinanza di custodia cautelare, emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Messina che dispone la carcerazione del Tamburello, di Lo Re e della Di Bella.

Comincia il processo a carico degli imputati e nell’udienza del 12 settembre 2019 arriva l’eclatante dichiarazione dalla Barbara Scaffidi, moglie e socia di Fortunato Rosario, amministratore unico dell’impresa Pegaso SRL, la quale inquietata, probabilmente, da un rimorso di coscienza, ritratta quanto aveva dichiarato e sottoscritto, davanti ai carabinieri, su Vincenzo Tamburello lasciando tutti a bocca aperta. Davanti al Collegio giudicante la stessa afferma che l’ex consigliere di Mistretta si era solo messo a disposizione per dare una mano. “Il Tamburello – afferma in aula la Scaffidi – lo abbiamo tirato dentro, forse per paura. Non abbiamo nulla contro di lui è stato sempre cordiale, immaginatevi che con lo stesso sono amica anche sul social Facebook. Un’amicizia virtuale si, ma pur sempre di amicizia si tratta”.

Lo scorso 12 febbraio, dopo aver sentito le difese, in cui l’avvocato del Tamburello, Alessandro Pruiti, che ha curato la difesa assieme ad Eugenio Passalacqua, ricostruisce i fatti basandosi solo su aspetti tangibili e sulla verità storica contenuta nelle intercettazioni telefoniche ed ambientali,  il Tribunale collegiale di Patti, presieduto dal giudice Ugo Scavuzzo, dopo tre ore di camera di consiglio, assolve l’ex consigliere comunale di Mistretta Vincenzo Tamburello dall’accusa di “tentata estorsione in concorso aggravata dal metodo mafioso” perché non ha commesso il fatto. A questo punto, alla luce dell’assoluzione, diventa importante precisare un aspetto (trascurato dagli addetti ai lavori) a parer nostro, fondamentale. La difesa di Tamburello, nell’udienza preliminare aveva chiesto di sentire la parte offesa, ma il Tribunale respinge l’istanza. Con molta probabilità, se la richiesta fosse stata accolta, considerato come sono andate le cose, Tamburello avrebbe avuto buone possibilità di essere scarcerato subito, evitando così un anno e mezzo di carcere.

E ora…!? Cu paga…? Chi risarcisce il Tamburello dei due anni di ingiusta detenzione? Chi ridà quella serenità, a lui e alla sua famiglia, sottrattagli da chi dovrebbe garantirla: lo Stato. Noi in tempi non sospetti, acquisendo pochi, ma significativi elementi, abbiamo scritto e messo le mani avanti. Per quanti ancora, nonostante tutto, continuano ad affermare in giro: “se non c’entrava nenti nun l’avissiru attaccatu”: stando ai fatti finora emersi e come vanno le cose (secondo il Dipartimento del Tesoro del ministero Economia e Finanze (Mef), dal 2005 al 2018 nella sola Sicilia si sono registrati 2.462 casi di ingiusta detenzione) consigliamo un po’ di prudenza.

 

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