Processo “Alastra”, inflitte condanne per 66 anni a 7 degli 11 imputati

Condanne per complessivi 66 anni e 10 mesi di carcere sono state inflitte dal Tribunale di Palermo (GUP Ermelinda Marfia) a 7 degli 11 imputati del processo scaturito dall’operazione antimafia «Alastra». Nel primissimo pomeriggio di oggi è arrivata la sentenza di primo grado. Condannati i principali protagonisti dell’inchiesta che il 30 giugno 2020 portò al fermo di indiziato di delitto, emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, 11 persone ritenute, a vario titolo, responsabili di “associazione mafiosa, estorsione, trasferimento fraudolento di beni, corruzione, atti persecutori, furto aggravato e danneggiamento”.

All’esito del processo, con rito abbreviato, il Tribunale di Palermo ha inflitto 12 anni e 5000 euro di multa a Giuseppe Farinella, figlio di Domenico, detto “Mico” e nipote di Peppino Farinella, capo della famiglia di San Mauro Castelverde e un tempo membro della Commissione mafiosa siciliana. 6 anni al padre Domenico, mentre 16 anni di reclusione e 7.200 euro di multa, sono stati inflitti a Giuseppe Scialabba.

Il castelluccese Antonio Alberti è stato condannato a 10 anni di reclusione e 4000 euro di multa, mentre al tusano Gioacchino Spinnato vengono inflitti 4 anni di carcere. Per Francesco Rizzuto 10 anni e 4000 euro di multa; 8 anni e 10 mesi invece per Mario Venturella. Assolti per non aver commesso il fatto Rosario Anzalone e Vincenzo Cintura. Arianna Forestieri assolta perché il fatto non costituisce reato mentre per Francesca Pullarà il giudice ha ritenuto non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato.

Alle parti civili – il Centro Pio La Torre e il Comune di Castel di Lucio, rappresentati dall’avvocato Francesco Cutraro, Sicildustria e i Comuni di Castelbuono e Pollina dall’avvocato Ettore Barcellona, Sos Impresa – Rete per la legalità Sicilia, rappresentata dall’avvocato Salvatore Mancuso, Sos Impresa Palermo, dall’avvocato Maria Luisa Martorana, alcuni imprenditori parti offese nel procedimento assistiti dagli avvocati Fausto Amato e Angelo Tudisca e diverse altre associazioni, tra cui la palermitana Addio Pizzo – è stato accordato un risarcimento dei danni da quantificarsi in sede civile.

Nel blitz dei carabinieri del 30 giugno 2020 finirono sotto inchiesta anche Antonio Giuseppe Dimaggio e l’ispettore della polizia penitenziaria Giuseppe Rubbino i cui reati, in corso di giudizio, con rito ordinario, presso il Tribunale di Termini Imerese. Tribunale che ha dichiarato la nullità del Decreto che dispone il giudizio ed ha restituito gli atti al Pubblico Ministero il quale ha richiesto il rinvio con fissazione dell’udienza preliminare fissata il 22 febbraio prossimo innanzi al Giudice per le Udienze Preliminari, presso il Tribunale di Palermo, dott. Nicola Aiello.

Giuseppe Antonio Dimaggio e Gioacchino Spinnato – entrambi di Tusa – unitamente a Giuseppe Scialabba, secondo quanto affermano i magistrati che hanno coordinato le indagini, in concorso tra di loro e mediante minaccia consistita nell’appoggiare un pacchetto di fiammiferi nella tanica di benzina dell’autovettura della vittima, hanno posto in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere Nunzio Giambelluca a recedere dalle pretese azionate nei confronti di Dimaggio Giuseppe Antonio con il giudizio civile istaurato per la regolamentazione dei confini e le dichiarazioni dei diritti dei proprietari dei fondi limitrofi. L’ispettore della polizia penitenziaria Giuseppe Rubbino, accusato di corruzione perché – secondo gli inquirenti – in cambio di un orologio avrebbe offerto i suoi “servigi” a Farinella. Un altro indagato, Pietro Ippolito, che era stato subito scarcerato (come Anzalone, difeso dall’avvocato Michele Rubino) è invece morto di Covid.

L’operazione “Alastra“, partita da Finale di Pollina, grazie all’intuizione dei militari dell’Arma della locale Stazione Carabinieri che nel corso di attività investigative notarono e segnalarono condotte e movimenti sospetti, ha consentito allo Stato di rimettere le mani e smantellare il clan Farinella di San Mauro Castelverde in fase di riorganizzazione e rilancio che, secondo la Procura di Palermo, Domenico, detto “Mico”, avrebbe ripreso a coordinare e gestire appena scarcerato, nel 2019. Grazie alla collaborazione di diversi imprenditori e commercianti sono emerse 11 estorsioni oltre al fatto che i nuovi boss emergenti avevano avviato un’illecita condotta attraverso la quale imponevano la fornitura di carne proveniente dalla macelleria di Giuseppe Scialabba, a Finale di Pollina.

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Pubblicato da
Giuseppe Salerno