Concussio, si sgonfia il castello accusatorio: non c’è mafia

di Giuseppe Salerno
11/11/2022

L’inchiesta condotta dai militari del Comando Provinciale Carabinieri di Messina, che nell’aprile del 2018 hanno dato esecuzione ad una ordinanza di custodia cautelare, emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Messina su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia e Antiterrorismo peloritana, allora guidata dal Procuratore della Repubblica Maurizio De Lucia, ha fatto registrare un particolare interesse nei lettori che vivono e seguono vicende e accadimenti dell’area più estrema dei Nebrodi, il territorio al confine con la provincia di Palermo.  

All’epoca dei fatti finirono in manette Giuseppe Lo Re, ritenuto dagli inquirenti esponente del mandamento mafioso di San Mauro Castelverde, Isabella Di Bella, la cartomante di Acquedolci, “zia” di Lo Re  e Vincenzo Tamburello, ex consigliere comunale di Mistretta, tutti accusati di “tentata estorsione in concorso aggravata dal metodo mafioso”,  oltre ad altri sei imputati, accusati di trasferimento fraudolento di valori in concorso con lo stesso Pino Lo Re.

Secondo l’accusa, i tre, avrebbero imposto il pizzo sui lavori di restauro delle opere di «Fiumara d’Arte», mentre era in corso la gara, indetta dal Comune di Mistretta, per i lavori di valorizzazione e fruizione del patrimonio artistico contemporaneo nebroideo. In primo grado il Tribunale collegiale di Patti, presieduto dal giudice Ugo Scavuzzo, aveva assolto Vincenzo Tamburello, per non aver commesso il fatto, condannando, invece, a 7 anni e 6 mesi di reclusione Giuseppe Lo Re e a 3 anni di reclusione Isabella Di Bella, ritenuti colpevoli.

La Corte d’Appello di Messina rinnovata la istruttoria dibattimentale, assumendo nuovamente la prova dichiarativa proveniente dalle due persone offese, Rosario Fortunato e Barbara Scaffidi, ribaltava la pronuncia assolutoria di primo grado ritenendo, sul punto, raggiunta la prova della perfetta consonanza di intenti e propositi da parte di tutti i coimputati del fatto estorsivo. Con la sentenza impugnata, dunque, la Corte di appello di Messina, in riforma della sentenza emessa dal tribunale di Patti il 12 febbraio 2020, accoglieva l’impugnazione proposta dal pubblico ministero nei riguardi di Vincenzo Tamburello, e condannava quest’ultimo per il concorso nella estorsione tentata alla pena di anni tre, insieme a Pino Lo Re e Isabella Di Bella. 

Gli imputati ricorrono alla Corte di Cassazione la quale “ritiene fondati i motivi di ricorso, sia sulla sussistenza del tentativo estorsivo, per i vizi di travisamento della prova e motivazione manifestamente illogica che si colgono nella motivazione spesa dalla Corte d’Appello di Messina per ribaltare la decisione assolutoria di primo grado adottata nei confronti del Tamburello, sia in tema di ontologica e giuridica sussistenza dei fatti di fraudolento “trasferimento” di beni e valori.”

“L’intento che muove i denunzianti – scrivono i giudici della Suprema Corte – è evidentemente macchiato di originaria illiceità. I coniugi Rosario Fortunato e Barbara Scaffidi, si rivolgono, prima alla Di Bella, poi al Lo Re, consapevoli di non interloquire nè con professionisti del diritto amministrativo, nè con la polizia giudiziaria; e quando Pino Lo Re ricorda loro che per far funzionare un motore a scoppio occorre il carburante, la reazione dei coniugi non è il netto e manifesto rifiuto della logica (vagamente corruttiva) esposta, ma anzi l’ulteriore insistenza sulle modalità cui attingere per superare gli ostacoli burocratici frapposti alla assegnazione dei lavori già finanziati. Lo stesso intento porta i coniugi a cercare l’incontro con Tamburello, ma restano delusi quando si avvedono che i consigli ricevuti restano chiusi nell’ambito tecnico e il soggetto che loro pensavano potesse costituire il grimaldello interno all’amministrazione comunale non offre loro il supporto ipotizzato.”

I coniugi Fortunato – Scaffidi, titolari della ditta Pegaso Costruzioni s.r.l., denunciarono ai Carabinieri di Messina il tentativo di estorsione perpetrata a loro danno da coloro che loro stessi avevano contattato e voluto incontrare (solitamente avviene il contrario: gli estorsori contattano gli estorti) e non per chiedere protezione, ma per accelerare le procedure di affidamento dei lavori provvisoriamente aggiudicati. Denunciarono il Tamburello coscienti del fatto che l’ex consigliere di Mistretta, era estraneo ai propositi estorsivi, come risulta dalle intercettazioni telefoniche e dalle loro stesse dichiarazioni rese in tribunale, sia in primo che in secondo grado.

Tamburello che “non c’entra nulla“, come affermato dagli stessi coniugi e rilevato dalle intercettazioni, nelle quali l’ex consigliere consiglia addirittura di non pagare nulla e di non accettare il suggerimento di falsificare i S.A.L., da parte di un tecnico del Comune di Mistretta, viene denunciato il 23 gennaio 2016.  Lo Re e Di Bella, che loro (la parte offesa) in seguito indicheranno come estorsori, vengono denunciati il 21 e 25 settembre 2017, 20 mesi dopo.

Una sentenza carente di motivazioni, quella emessa dalla prima sezione della Corte d’Appello di Messina,  che, tra l’altro, “non attribuisce nessuna rilevanza nemmeno alla prova dichiarativa, formatasi in contraddittorio nel corso della istruzione dibattimentale, rinnovata in appello col nuovo esame delle persone ritenute offese”, come spiegano nelle motivazioni i Giudici della Corte Suprema che, in accoglimento dei ricorsi proposti, annullano la sentenza di secondo grado, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello della Città dello Stretto. Si riparte dunque dal secondo grado di giudizio con la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale collegiale di Patti, il 12 febbraio 2020.

Nella giornata di ieri, giovedì 10 novembre, la Corte di Appello di Messina, seconda Sezione Penale, in sede di rinvio della Corte di Cassazione che aveva sottolineato in rosso gli “errori” di valutazione commessi dalla prima Sezione della Corte d’Appello il 17 maggio 2021, ha pronunciato e pubblicato la sentenza che assolve dall’accusa di “tentata estorsione in concorso aggravata dal metodo mafioso”, l’ex consigliere comunale di Mistretta Vincenzo Tamburello, nell’ambito dell’inchiesta “Concussio”, perché ritiene che l’imputato non abbia commesso il fatto.

Ma l’aspetto più eclatante riportato in sentenza è l’esclusione della circostanza aggravante di cui all’articolo 7 (aver agito avvalendosi delle condizioni previste dall’art.416 bis c.p.; aver agito al fine di agevolare l’associazione mafiosa) e in virtù di ciò, in parziale riforma della sentenza di primo grado del 12 febbraio 2020, che condannava a 7 anni e 6 mesi di reclusione e al pagamento di 2.500 euro di multa Giuseppe Lo Re e a 3 anni di reclusione e al pagamento di 2.100 euro di multa, Isabella Di Bella, ridetermina la pena nei confronti di Lo Re in anni 4 di reclusione e di euro 1800 di multa e nei confronti di Di Bella in anni 2 e mesi 6 di reclusione e euro 1600 di multa.

In attesa dei 90 giorni, termine fissato per il deposito delle motivazioni della sentenza, i legali di Lo Re e Di Bella, Giuseppe Serafino e Alvaro Riolo, annunciano di voler ricorrere in Cassazione. Anche la Procura Generale potrebbe in teoria presentare ricorso in Cassazione alla sentenza di Appello emessa dalla seconda Sezione della Corte di Messina, anche se le possibilità sono molto remote. Con il capitombolo dell’impianto accusatorio a carico dell’imputato Tamburello, rischierebbe di fare un’eterna “malafiura”.

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