Inchiesta “Alastra”, udienza preliminare: chiesto il giudizio per i 13 indagati

di Giuseppe Salerno
08/05/2021

A quasi un anno dall’inizio dell’inchiesta Alastra, che ha portato al fermo di indiziato di delitto, emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, 11 persone ritenute a vario titolo responsabili di associazione mafiosa, estorsione, trasferimento fraudolento di beni, corruzione, atti persecutori, furto aggravato e danneggiamento, a 13 indagati è stato notificato un avviso di fissazione udienza preliminare – prevista per il prossimo 4 giugno – e contestualmente anche la richiesta di rinvio a giudizio firmata dai pubblici ministeri Gaspare Spadale e Bruno Brucoli.

In questo provvedimento i PM ipotizzano l’esistenza di dinamiche criminali del mandamento mafioso di San Mauro Castelverde che imponeva il proprio potere con estorsioni ai danni dei commercianti locali, documentate dai militari dell’Arma. Le attività – sostiene l’accusa- hanno consentito di evidenziare il ruolo ricoperto da Giuseppe Farinella, figlio di Domenico Farinella, l’autorevole boss di cosa nostra all’epoca detenuto a Voghera in regime di alta sicurezza. Dalle investigazioni è emerso in maniera chiara che l’attività estorsiva, strumento attraverso il quale l’organizzazione esercita il controllo sul territorio, continua ad essere una forma di sostentamento primario per il sodalizio mafioso.

Tra i 13 indagati  Antonio Alberti di Castel di Lucio, Gioacchino Spinnato e Giuseppe Antonio Dimaggio  entrambi di Tusa. Questi ultimi due, unitamente a Giuseppe Scialabba, secondo quanto affermano i magistrati che hanno coordinato le indagini, in concorso tra di loro, mediante minaccia consistita nell’appoggiare un pacchetto di fiammiferi nella tanica di benzina dell’autovettura della vittima, hanno posto in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere Nunzio Giambelluca a recedere dalle pretese azionate nei confronti di Dimaggio Giuseppe Antonio con il giudizio civile istaurato per la regolamentazione dei confini e le dichiarazioni dei diritti dei proprietari dei fondi limitrofi. Il 30 giugno 2020 Giuseppe Antonio Dimaggio viene arrestato, ma il 3 luglio (tre giorni dopo la traduzione in carcere) a seguito dell’interrogatorio di garanzia, il Gip non convalida il fermo rigettando la richiesta dei PM di Palermo di applicazione della custodia cautelare ed accogliendo l’istanza presentata dall’avvocato difensore, Santino Trovato, ordina l’immediata scarcerazione dell’indagato, poi posto ai domiciliari

La Procura di Palermo accusa invece Antonio  Alberti e Gioacchino Spinnato, insieme a Domenico e Giuseppe  Farinella, Giuseppe Scialabba, Francesco Rizzuto e Mario Venturella di far parte, in concorso ed unitamente ad altre numerose persone, dell’associazione mafiosa denominata Cosa Nostra, avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed omertà che ne deriva, per commettere delitti contro la vita, l’incolumità individuale, la libertà personale, il patrimonio, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o, comunque, il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti e servizi pubblici, per realizzare profitti e vantaggi ingiusti per sé e gli altri, per intervenire sulle istituzioni e la pubblica amministrazione.

Antonio Alberti, insieme a Giuseppe Scialabba, Giuseppe Farinella e Pietro Ippolito (deceduto), è accusato dai PM di aver costretto, in concorso con i soggetti elencati, mediante minaccia consistita nel manifestare implicitamente la propria appartenenza all’organizzazione mafiosa denominata Cosa Nostra ed in virtù della forza derivante dal vincolo associativo, l’imprenditore Michelangelo Mammana a consegnare la somma di denaro di 20.000 euro a titolo di messa a posto (pizzo) di un cantiere edile, così procurando a se stesso e all’organizzazione un ingiusto profitto con pari danno alla persona offesa. In particolare Antonio  Alberti, secondo l’accusa, inoltrava richiesta estorsiva nei confronti di Mammana e Ippolito Pietro riscuoteva l’importo corrisposto dall’imprenditore, operando sempre nell’interesse del sodalizio maurino ed in particolare di Farinella e Scialabba promotori del reati estorsivi.

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