Processo Concussio, deboli motivazioni nella sentenza di appello

di Giuseppe Salerno
29/04/2022

Con in mano le motivazioni rese note dalla seconda sezione penale della Cassazione, relative alla sentenza dello scorso 10 marzo, con la quale la Suprema Corte annullava con rinvio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Messina, la sentenza che aveva condannato Giuseppe Lo Re, Isabella Di Bella e Vincenzo Tamburello, alla pena di 3 anni di reclusione, torniamo a parlare dell’inchiesta “Concussio.

Inchiesta condotta dai militari del Comando Provinciale Carabinieri di Messina che, nell’aprile del 2018, hanno dato esecuzione ad una ordinanza di custodia cautelare, emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Messina su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia e Antiterrorismo peloritana, guidata dal Procuratore della Repubblica Maurizio De Lucia, nei confronti di Lo Re, ritenuto dagli inquirenti esponente del mandamento mafioso di San Mauro Castelverde, della Di Bella, la cartomante di Acquedolci, zia di Lo Re  e di Vincenzo Tamburello, ex consigliere comunale di Mistretta , accusati di “tentata estorsione in concorso aggravata dal metodo mafioso”,  oltre ad altri sei imputati, accusati di trasferimento fraudolento di valori in concorso con lo stesso Pino Lo Re.

Secondo l’accusa, i tre, avrebbero imposto il pizzo sui lavori di restauro delle opere di «Fiumara d’Arte», mentre era in corso la gara, indetta dal Comune di Mistretta, per i lavori di valorizzazione e fruizione del patrimonio artistico contemporaneo nebroideo. In primo grado il Tribunale collegiale di Patti, presieduto dal giudice Ugo Scavuzzo, aveva assolto Vincenzo Tamburello, per non aver commesso il fatto, condannando, invece, a 7 anni e 6 mesi di reclusione Giuseppe Lo Re e a 3 anni di reclusione Isabella Di Bella, ritenuti colpevoli.

La Corte d’Appello di Messina rinnovata la istruttoria dibattimentale, assumendo nuovamente la prova dichiarativa proveniente dalle due persone offese, Rosario Fortunato e Barbara Scaffidi, ribaltava la pronuncia assolutoria di primo grado, ritenendo sul punto raggiunta la prova della perfetta consonanza di intenti e propositi da parte di tutti i coimputati del fatto estorsivo. Con la sentenza impugnata, dunque, la Corte di appello di Messina, in riforma della sentenza emessa dal tribunale di Patti il 12 febbraio 2020, accoglieva l’impugnazione proposta dal pubblico ministero nei riguardi di Vincenzo Tamburello, e condannava quest’ultimo per il concorso nella estorsione tentata alla pena di anni tre

Gli imputati ricorrono alla Corte di Cassazione la quale “ritiene fondati i motivi di ricorso, sia sulla sussistenza del tentativo estorsivo, per i vizi di travisamento della prova e motivazione manifestamente illogica che si colgono nella motivazione spesa dalla Corte d’Appello di Messina per ribaltare la decisione assolutoria di primo grado adottata nei confronti del Tamburello, sia in tema di ontologica e giuridica sussistenza dei fatti di fraudolento “trasferimento” di beni e valori.”

“L’intento che muove i denunzianti – scrivono i giudici della Suprema Corte – è evidentemente macchiato di originaria illiceità. I coniugi Rosario Fortunato e Barbara Scaffidi, si rivolgono, prima alla Di Bella, poi al Lo Re, consapevoli di non interloquire nè con professionisti del diritto amministrativo, nè con la polizia giudiziaria; e quando Pino Lo Re ricorda loro che per far funzionare un motore a scoppio occorre il carburante, la reazione dei coniugi non è il netto e manifesto rifiuto della logica (vagamente corruttiva) esposta, ma anzi l’ulteriore insistenza sulle modalità cui attingere per superare gli ostacoli burocratici frapposti alla assegnazione dei lavori già finanziati. Lo stesso intento porta i coniugi a cercare l’incontro con Tamburello, ma restano delusi quando si avvedono che i consigli ricevuti restano chiusi nell’ambito tecnico e il soggetto che loro pensavano potesse costituire il grimaldello interno all’amministrazione comunale non offre loro il supporto ipotizzato.”

I coniugi Fortunato – Scaffidi, titolari della ditta Pegaso Costruzioni s.r.l., denunciano ai carabinieri di Messina il tentativo di estorsione perpetrata a loro danno da coloro che loro stessi avevano contattato e voluto incontrare (solitamente avviene il contrario) non per chiedere protezione, ma per accelerare le procedure di affidamento dei lavori provvisoriamente aggiudicati

Denunciano il Tamburello coscienti del fatto che l’ex consigliere di Mistretta, era estraneo ai propositi estorsivi, come risulta dalle intercettazioni telefoniche e dalle loro stesse dichiarazioni rese in tribunale, sia in primo che in secondo grado. Tamburello che “non c’entra nulla” – come affermato dagli stessi coniugi (parte offesa) e rilevato dalle intercettazione nelle quali l’ex consigliere consiglia addirittura di non pagare nulla e di non accettare il suggerimento di falsificare i S.A.L., da parte di un tecnico del Comune di Mistretta, viene denunciato il 23 gennaio 2016.  Lo Re e Di Bella, che loro in seguito indicheranno come estorsori, vengono denunciati il 21 e 25 settembre 2017, 20 mesi dopo.

Una sentenza carente di motivazioni, quella emessa dalla prima sezione della Corte d’Appello di Messina,  che, tra l’altro, “non attribuisce nessuna rilevanza nemmeno alla prova dichiarativa, formatasi in contraddittorio nel corso della istruzione dibattimentale, rinnovata in appello col nuovo esame delle persone ritenute offese”, come spiegano nelle motivazioni i Giudici della Corte Suprema che, in accoglimento dei ricorsi proposti, annullano la sentenza di secondo grado, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello della Città dello Stretto. Si riparte dunque dal secondo grado di giudizio con la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale collegiale di Patti, il 12 febbraio 2020

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